Il Chicco d'oro (favola scritta da Seba)


Il Chicco d’Oro





Andrò li all’orizzonte, dove il cielo incontra il mare, respirerò l’ossigeno di una sua onda e bagnerò il mio cuore nel vapore di una nuvola”

Ci sono notti che dormi più che sognare e la fantasia langue ed i pensieri non si condensano in enormi vallate e non dipingono quadri fiamminghi di splendide principesse dagli occhi fatati che cantano all’ombra di castelli scintillanti.
Invece ci sono notti che sogni più che dormire e ti regalano storie che ti portano lontano lontano, che ti coprono di un mantello di magia che non ha età, che ti scaldano il cuore sfiorandolo appena e diffondono un profumo di spezie d’oriente: queste notti hanno il dolce gusto dei ricordi perduti e brillano come le lacrime che bagnano il sorriso ritrovato di un bambino. Proprio di una notte di sogno vi voglio adesso raccontare.


Quando sarò sulla vetta dei miei pensieri, con tutta la mia vita alle spalle, troverò una strada per continuare a salire”

Nel respiro di Sebastiano c’era la quiete di mille monaci Tibetani, mentre lento e inconsapevole si allontanava da tutto ciò che noi definiremmo con il termine “reale”, come l’immutabile fila alla posta per pagare una bolletta scaduta o l’irritante avanzata calvizie che lo affliggeva alla veneranda età di ventotto anni. Dono dei geni del padre diceva la madre. Dono dei miei geni diceva il padre. Il nostro protagonista non era abituato a tutti questi doni ed evitava di commentare questo pratico esempio di presa genetica per i fondelli.
Un sogno può di certo portarti nella galassia più lontana, ma questo ebbe inizio proprio nel letto e nella stanza dove il nostro eroe dormiva soddisfatto dopo una giornata passata ad ammattire con la chimica più chimica.
Seba era un chimico appunto,
ma già da tempo la presunzione di poter avere un qualsivoglia controllo sulla materia era stata sostituita da una più pessimista e mera raccolta di inaspettati risultati: poteva a volte sentir ridere le molecole, o almeno giurava d’averlo fatto, mentre lo guardavano con i loro occhietti d’elettroni e protoni e lo schernivano vibrando e ruotando legami dalle geometrie più fantasiose.
“Siamo architetti di molecole” diceva il più luminare e filosofo tra i suoi professori.
“Io in una casa così non ci andrei di certo a vivere” diceva il nostro protagonista.
Seba stava quindi sognando di sognare, questo a tutti gli effetti potrebbe essere interpretato come una bella fregatura ma non è così, almeno non questa volta.
Venne di colpo destato da un inusuale rumore, un lento e triste sospiro, un pianto di bimba accorato e dolce, proprio vicino al suo lettone, la a qualche metro di distanza sul davanzale del finestrone spalancato per contrastare la calura del Luglio inoltrato. Non c’era terrore nel suo volto, ma un vivo interesse e stupore. Poi il nostro panciuto eroe non credeva mica a fantasmi, spiriti o pinzillacchere simili, pensò desiderando di colpo avere il numero degli acchiappa fantasmi.
Fissò la finestra con i suoi occhietti assonnati e non vide niente; inforcò gli occhiali da vista e continuò a non vedere nulla, ma solo a sentire questo lento, sospiroso e vaporoso pianto che disperdeva particelle di tristezza nella stanza.
“Ecco sono impazzito, lo sapevo che sarebbe successo …” disse Seba con una voce roca e gorgogliante degna di un risveglio nel cuore della notte.
Il pianto s’interruppe d’improvviso.
“Chi sei?” disse una dolce vocina, e proprio in quel momento sul davanzale della finestra la fredda luce della luna più piena illuminò la seconda cosa più bella che Seba avesse mai visto in vita sua (un’enorme teglia di lasagne in una sagra di un paese vinceva ancora, ma non per molto fidatevi): il volto di una donna dalle piccole fattezze si compose di fronte ad i suoi occhi increduli. Era una visione sfuggevole, quasi come se non fosse solida o tangibile, il vapore dell’essenza più dolce e profumata o la spuma dell’onda più forte ed increspata componevano questa immagine che lasciò Sebastiano senza parole, cosa che non succedeva mica spesso.
Due occhi di Zefiro brillavano nella penombra incastonati attorno ad un nasino piccolo ed affusolato di molecole d’azoto e ossigeno (le si poteva vedere sorridere quelle piccole particelle vivaci!). Due labbra di vapor d’acqua sembravano i petali di un fiore tropicale, ed i lunghi capelli castani di finissima terra ondeggiavano lenti e lievi ad ogni movimento del capo. Un corto vestitino di Maestrale avvolgeva il piccolo corpicino e due stivali azzurri della Bora più fredda completavano il quadro di questa tanto stupefacente quanto eterea creatura.
“Ciao” disse la vaporosa essenza asciugandosi le lacrime di cristalli di neve dalle rosse e calde guance di Scirocco.
Seba la fissava con lo stupore di un bambino che vede un aereo volare per la prima volta, un misto di incredulità per l’inspiegabile visione e di immenso fascino per la maestosità di cui si era spettatori. Tutto ciò si tradusse nella classica faccia a bocca aperta.
“Potrebbe entrarti una vespa in bocca e pungerti la lingua se rimani così a fissarmi … allora si che rimarresti senza parole … ho forse qualcosa fuori posto?” disse quell’aggregato di molecole tanto sfuggevoli quanto incredibili osservando e sistemando l’impercettibile vestito fatto di vento.
Colta da un lieve imbarazzo, con un piccolo gesto dell’indice la piccola creatura ancora ignota diede una mano a Seba a dir qualcosa, facendo vibrare le sue corde vocali, dando così parola al suo stupore.
“c-c-ciao … i-i-io sono Seba … tu ch-ch-chi sei?” Seba è da sempre rinomato per saper rompere il ghiaccio con il gentil sesso.
“Sono Aria …” disse come chi risponde ad un’ovvietà, e a quelle parole la stanza fu pervasa da una fresca brezza di primavera e da mille profumi floreali.
“tu sei … l’Aria?... cioè quella composta al 78% d’azoto e al 20% d’ossigeno? Quella Aria?” la chimica era piuttosto fuori luogo in un contesto così sognante e fantasioso, ma perdonatelo è pur sempre un chimico.
“Diciamo di si anche se mi sembra riduttivo da molti punti di vista … no?” disse Aria con un tono dal sarcasmo più che percettibile.
In effetti tante altre grandi, piccole ed invisibili cose rendevano Aria semplicemente affascinante: ella, la regina dei venti, accarezzava ogni luogo della nostra bislacca terra; dai freddi fiordi norvegesi dove il freddo ti congela il naso al solo annusarla, alle tempeste di sabbia del deserto più infuocato, che ti graffiano come carta vetrata e ti costringono ad un incedere lento e pesante. Ma è ancora una piccola parte di ciò che è Aria, di ciò che ama e di quello che rappresenta. Aria è tutto ciò che udiamo, dal dolce canto di un uccellino in un bosco, al frusciare delle spighe di grano che ondeggiano lievi danzando su di un campo, all’incessante stridere di una cicala mentre seduti in una veranda sorseggiamo un bel tè freddo. Senza Aria non esisterebbe la musica o il canto: dal rock più sculettante, alla classica più sopraffina, dal blues più sanguigno al jazz un po’ snob, bello come una misteriosa donna che sorseggia un martini in una oscura bettola di New Orleans. Aria adora la musica, sia cantarla che suonarla, passa dentro ogni strumento a fiato per sorprenderci con improvvisi glissati o incredibili estenuanti crescendo, attende ansiosa sotto ogni tasto di un pianoforte per poi correre all’impazzata tra le corde di una chitarra zig-zagando tra le dita del musicista o nei polmoni di una cantante, interpretando ciò che il loro cuore trasuda e trasformando i loro sogni a puntini su di un pentagramma in pura estasi musicale. Adora ballare, danza spesso e volentieri con Acqua, sua cara amica e parente: pensate che è stata testimone al matrimonio tra Idrogeno e Ossigeno, due che a vederli da soli diresti “ehi come sono mosci … non scommetterei  due soldi sulla loro unione” e invece una volta insieme è bastata una scintilla e tac! Un’esplosione d’amore e di vita, adesso sono veramente inseparabili. Aria gioca sempre con Acqua e ballano nelle onde più grandi e spumeggianti per poi distendersi esausti tra le risa sul bagnasciuga di una spiaggia tropicale. Aria odora di tutte le essenze di questo mondo: esperta di ricercate fragranze si diverte a vedere l’uomo cercare di riprodurle, per lei è una dote naturale miscelare, ed in questo possiamo dire che è proprio un gran chimico. Ma più di tutto, e son sicuro che questo vi potrebbe risultare inaspettato, adora l’odore del caffè la mattina. E’ proprio Aria che nel suo piccolo gassoso palmo lo prende appena sgorga gorgogliante nelle caffettiere di tutto il mondo e lo porta al nasino di ogni uomo, donna o bambino assonnato, e gode del sorriso che spesso si dipinge in volto nell’annusare il gusto del risveglio quotidiano di questa inebriante miscela che sa di posti lontani sia nello spazio che nel tempo. Ebbene si, l’odore del caffè è proprio il capolavoro di Aria, quinta essenza di come essa stessa è: dolce e lieve nell’accarezzarti i capelli, forte ed inesorabile nel trascinarti via, portatrice di gusti e sensazioni dimenticate, ci scalda il cuore davanti ad un camino o rinfresca le nostre fronti sudate come in questa calda notte di Luglio dove il nostro Seba l’ha incontrata.
 “Si … eh eh … hai ragione perdonami … ma perché piangevi Aria?” disse il nostro Seba imbarazzato.
“Perché ho perso una cosa a me molto cara … un piccolo ciondolo donatomi da una persona speciale” così dicendo s’imbronciò nuovamente chinando il capo che si nascose tra i folti capelli di terra. Le sue lacrime di fiocchi di neve si scioglievano istantaneamente poggiandosi sul marmo del davanzale. Seba non aveva mai visto niente del genere in tutta la sua vita.
“Aria non piangere … dai ti aiuto io a ritrovarlo … partiamo dal classico <<come è fatto>> e <<dove lo hai visto per l’ultima volta>>?” Seba era da sempre un soccorritore di donzelle in difficoltà, un gentiluomo d’altri tempi, magari uno sfigato dei nostri, ma a lui non importava, almeno non sempre.
“E’ un ciondolo a forma di chicco di caffè e lo porto sempre con me da quando Ardo me lo ha donato … ed ora non lo ritrovo più” disse Aria imbronciata.
“Ardo? Chi sarebbe?” Seba era proprio un gran curiosone, ma dato che la curiosità uccide il gatto e non il Seba non faceva niente per non esserlo.
“Ardo è l’amor mio … lui è … ehm … voi creature solide lo chiamate … leone … si Ardo è un leone … bello e forte … adesso è a caccia col resto del branco e tornerà all’alba e quando saprà del ciondolo ci rimarrà male … uffa sono sempre la solita pasticciona” e così dicendo mise il visino vaporoso tra le appena visibili manine.
“dai Aria tranquilla sono sicuro che possiamo ritrovarlo … anche io perdo sempre tutto … ma con un po’ d’impegno lo ritroveremo di certo …” Seba sapeva come incoraggiare una fanciulla triste, era un suo pregio trasmettere positività e ottimismo.
“dici davvero? Grazie Seba” quando Aria sorrise Seba dimenticò di colpo la più grande teglia di lasagne  del mondo e od ogni volta che ella lo faceva diveniva la cosa più bella vista fino ad ora, o almeno non troppo lontano dai pasti.
“raccontami di questo Ardo e del ciondolo … è un chicco di caffè d’oro giusto?” Seba in versione Sherlock Holmes faceva la sua bella figura con una voce calma e rassicurante, ma senza cappello strambo e Watson ad aiutarlo.
“oh … Ardo è troppo forte … io gli accarezzo sempre la criniera e gliela scombino tutta e lui ringhia di finta rabbia … poi ci rincorriamo per la savana … una volta è andato in un fiume che voi creature solide avete spogliato dell’oro di cui prima era pieno e pagliuzza dopo pagliuzza mi ha costruito questo ciondolo forgiato con la forza del suo affetto … e me lo ha donato … lo porto al polso e ogni tanto qui al collo … vola con me sospinto dai venti … oggi attraversavo le Ande e poi ho incontrato li Lucella la mia migliore amica e abbiamo suonato e poi sono stata sulla muraglia cinese tra le fessure di quelle pietre millenarie nelle quali mi riposo ogni tanto per poi venir qui ed accorgermi di averlo perso” e mentre parlava Seba ascoltava le sue mille voci di donna e ragazza e l’incessante ondeggiare del suo abito e dei suoi capelli di fine terriccio bruno, così come il costante mutare della sua fragranza, mai stucchevole né invadente, ma sempre leggera e dolce.
“Lucella? Magari lei può aiutarci … io ho sempre degli amici che spesso mi aiutano a risolvere i guai in cui mi ficco … che tipo è?” a Seba incominciava a piacere questa stramba e fantasiosa avventura.
“Lucella non è affatto facile da descrivere … è unica … ti piacerà … su andiamo allora!” e così dicendo si librò in volo leggera a qualche metro dal davanzale facendo cenno col suo gassoso indice di seguirla.
“ehm … mia cara … io in quanto creatura solida priva di ali non sono molto ferrato nel volo … inoltre soffro anche di vertigini … e …” ma Aria creatura tanto intangibile quanto schietta con una corrente ascensionale trascinò il nostro Seba fuori dalla finestra il tutto accompagnato da un bel “OH CAVOLO!!” oltre che dalle risate di quella “ariosa e trasparente disgraziata” come Seba suole di solito chiamarla ricordando quel suo primo volo.
Fu un viaggio proprio da sogno, veloci verso il mattino lontano chilometri e chilometri nel fresco pungente delle nubi fino all’alba più magica. Non era volare, era come se le stesse molecole che componevano il nostro panciuto eroe fossero ora più leggere, sono certo che in condizioni normali se la sarebbe fatta sotto dalla paura, ma sfrecciava talmente veloce che la paura rimase parecchi passi indietro.
“Piacerai di certo a Lucella … ne sono sicura!” disse dandogli una bella spinta per sterzare verso un’enorme nuvola bianca che sembrava fatta quasi dallo zucchero filato dei luna park.


“Ho alzato lo sguardo al cielo ed un pennello di luce ha dipinto l’azzurro nei miei occhi”

“Certo che le nuvole non sono affatto come te le immagini come quando le osservi da lontano” pensava Sebastiano il chimico più in alto al mondo in quel momento, immerso nell’alba su un non precisato tratto di un calmo e scintillante oceano.
Aria sedeva su di una poltrona bianca e soffice di vapor d’acqua sistemando i suoi azzurri stivali di fredda Bora e compiacendosi della scelta del colore, quel piccolo vanitoso sbuffo di vento.
“Come faccio a camminare su di una nuvola? non dovrebbe essere possibile” il nostro eroe aveva forse perso qualche lezione sul concetto di sogno.
“Sono io a tenerti su a dire il vero e a farti sembrare che la nuvola sia sofficemente solida” così dicendo Seba sprofondò per quasi un metro nella nuvola sorretto dalle risa di quella vaporosa giocherellona.
“Aria … ti prego non scherzare!” e mentre tentava di aggrapparsi alla nuvola senza grossi risultati.
Stare su di una nuvola era veramente una sensazione singolare: il Sole si stagliava appena su di un oceano di brillanti e l’orizzonte disegnava un perfetto cerchio di 360 gradi; non si scorgeva nulla, ma quello che c’era valeva più di mille terre e città e civiltà perdute. Seba si mise a sedere accanto ad Aria sulla poltrona di nuvola.
“Sai anche io ho perso una cosa a me cara … un cappello … era il cappello di mio nonno … la classica e intramontabile coppola siciliana … ricordo che era ancora intrisa del suo profumo anni dopo … sono anni che è andata perduta in uno dei tanti traslochi” Seba sorrideva triste mentre Aria soffiava tra i suoi sparuti capelli rimasti.
“Sai Aria … era tanto che non pensavo a lui … un grand’uomo … brillante e divertente … mi piacerebbe ritrovare quel cappello”
“Allora che sia … tu aiuterai me a trovare il ciondolo ed io te a trovare il cappello … siamo o no una squadra?” disse Aria porgendo la sua manina d’azoto ed ossigeno.
“Affare fatto piccola e vaporosa amica!” fu una stretta di mano tanto incorporea quanto indelebile per i nostri due eroi.
Ad interrompere quel solenne momento di fratellanza solido-gassosa fu proprio la nostra terza protagonista, che fece il suo ingresso in un battito di ciglia, veloce come la luce, briosa come il mattino, calda come un abbraccio farcito d’amore: lei era la figlia prediletta del Sole, Lucella, la più grande e cara amica di Aria.
“Ueeee … gente!!” disse una vocina sottile sottile apparendo come un lampo di fronte ad entrambi.
Era uno snello fascio di fotoni vispi e sorridenti, ed Aria affermando che non era una creatura semplice da descrivere aveva ragione da vendere. E’ proprio il caso di dire che Lucella era di una bellezza a dir poco accecante, in quanto l’occhio umano non poteva fissarla a lungo, anzi poteva a malapena ad occhi stretti delineare la sua sinuosa figura fiammeggiante. Gli intangibili e inosservabili fotoni erano incastonati su di un corpo magro e affusolato, aerodinamico, resi appena meno lucenti ed abbaglianti dalla lunga veste di polvere di stelle che li ricopriva e che rendeva il tutto simile ad una fredda e soffice cometa che attraversa lo spazio buio. Qualunque cosa paragonata alla nostra Lucella, in quanto luce di nome e di fatto, sembrava non aver mai conosciuto né il chiarore né il fulgido mattino. Ad incorniciare questa incredibile visione di alba perenne, il viso candido di meravigliosa e multicolore radiazione cosmica, occhi azzurri di neutrini vivaci, labbra rosse di frammenti d’infinito e lunghi capelli ricci biondi di morbide nebulose spaziali. Lucella ed Aria erano le cose più belle che il nostro Seba avesse mai visto e per la seconda volta rimase privo di parole e la cosa incominciava a divenire comune in questa storia da sogno.
Il modo migliore di godere di questa visione era di certo mettere sugli occhi dei filtri per osservare la luce solare, ma con essi avresti anche filtrato molta della bellezza di questa creatura e comunque una nuvola nel bel mezzo di uno sconosciuto oceano non era il posto migliore per procurarseli. Alternativamente Seba riuscì ad interloquire con Lucella parlando alla sua ombra: ogni cosa si interponesse col vivace fascio di beltà della nostra focosa protagonista, proiettava ombra, e lei proprio la assumeva le sue delicate forme: che fosse un ramo, l’indice di  una mano, un monte o una formica, la piccola grande microscopica maestosa Lucella appariva con i suoi bei e folti ricci con il negativo del suo ardente fascino, l’antitesi della sua lucente bellezza, seppur altrettanto affascinante e messaggera di profonda meraviglia.
Come per Aria, ridurre Lucella ad un banale fascio di fotoni e polvere di stelle è di certo etimologicamente sbagliato. Se già pensate che così descritta sia una creatura onirica e che abbia dell’incredibile il solo immaginarla, siete del tutto fuori strada. Cosa ama e cosa fa Lucella, oltre ad il mero illuminare il mare con l’alba su di una spiaggia deserta, la rende a dir poco unica: la nostra eroina di fotoni adora sopra ogni altra cosa contare le più impensabili quantità, come i granelli di sabbia esistenti, gli aculei di tutti i ricci del mondo, i crateri (compresi quelli microscopici) della cara zia Luna, quanti ioni sodio ci sono nell’Acqua del mare o quante gocce di rugiada scivolano dalle foglie in un certo istante: insomma cose di cui è veramente difficile, anche se non impossibile per lei, tenerne conto a mente. Infatti papà Sole tempo fa le regalò uno splendido abaco di stelle, dato che per calcolare cifre così astronomiche solo qualcosa di altrettanto astronomico può esserti d’aiuto. Seba ammise che papà Sole la sapeva davvero lunga (e chiese poi a Lucella di dirgli di evitare sempre di bruciargli la schiena quando egli regolarmente si addormentava in spiaggia).
“Aria ma tu lo sai quante brioches nel mondo sono state appena sfornate in questo momento? Le ho appena contate … due volte … e sono esattamente …” e disse un numero che il nostro Seba non aveva mai né sentito né immaginato, talmente lungo che pensò di non arrivare vivo alla fine.
“Incredibile … Lucella sei veramente mitica” disse Aria dandole un bacino di vapor d’acqua che scomparve al contatto con la pelle di fotoni di Lucella “Adoro la fragranza delle brioche calde … mai quanto quella del caffè ovviamente”.
L’altro passatempo preferito di Lucella consisteva in una sorta di Tetris di proporzioni gigantesche: lei amava analizzare la forma delle nuvole ed incastrarle tra loro con un piccolo aiuto da parte di Aria e delle sue correnti. L’unica controindicazione a questo inconsueto hobby risultava in arrabbiati e grigi ammassi nuvolosi che davano vita qualche volta ad improvvisi temporali tropicali (già i blocchi incastrati del Tetris non avevano questa reazione). “Che amiche giocherellone che ho!” commentava Seba ironicamente dopo aver assistito fradicio per la prima volta ad una partita di Tetris meteorologico.
L’ultimo hobby della nostra bellezza fotonica lo condivideva direttamente con quella dolce corrente ascensionale di Aria: la musica. Di certo erano un duo musicale infinitamente originale, soprattutto grazie al “pianoforte dalle interminabili note”. Anche in questo frangente papà Sole si rivelò persino migliore di Stradivari, famoso costruttore dei violini più ricercati al mondo: tale fantomatico pianoforte prendeva origine dalla luce di papà Sole che filtrata attraverso una cometa (che fungeva da prisma), veniva scomposta nei suoi colori, che venivano in seguito riflessi e diffratti attraversando una serie di specchi di ghiaccio collocati sulla vetta di un monte, col risultato di ottenere un’infinita tastiera musicale multicolore dove Lucella si sbizzarriva nei più impensabili assoli, mentre Aria cambiava note su note e strumenti su strumenti interpretando il gusto musicale dell’amica prediletta. Lucella infine aveva anche una voce fenomenale, mentre Aria era anche bravissima nella parte ritmica usando le nuvole quasi come delle percussioni; Sebastiano più volte propose di mettere su una band tutti insieme dato che anche il nostro panciuto eroe si dilettava con la chitarra da tanti anni ”Ragazze saremmo una band da urlo … scaleremmo le classifiche!!” nulla di concreto si raggiunse mai purtroppo, erano due piccole dolci magnifiche dive difficili da gestire, artisticamente parlando (e non solo).
Ma torniamo al loro primo incontro.
“E questo solido qui chi sarebbe? O perdonami non mi sono neanche presentata io sono Lucella … non ti porgo la mano non vorrei sublimassi tra le più atroci sofferenze del caso!” e mentre Aria se la rideva.
“Sono Sebastiano amico di Aria … incantato è a dir poco miss Lucella” Seba quando voleva era veramente un gran gentiluomo.
“Oh ma che tipino carino …” ed ignorandolo distratta dal nuovo vestito di Aria “Tesoro ma questi stivali sono bellissimi!! Il colore ti dona da morire … hai sempre un gusto ineccepibile!!” son sempre donne pensò Seba, falle di luce o di vento, ma son sempre donne, e mentre loro si scambiavano complimenti su complimenti egli se la rideva tra se e se.
“Grazie tesoro … ti devo chiedere un favore … non trovo più il mio ciondolo a chicco di caffè sono veramente disperata … io e Seba stiamo cercando di ritrovarlo … insieme al perduto cappello di suo nonno … la tua splendida vista e la tua immensa velocità possono esserci d’aiuto?” disse Aria con dolcezza zuccherina.
“Mhhh … mentre mi parlavi ho controllato tutte le Ande e la muraglia cinese … e direi di non aver scorto niente che somigli al tuo ciondolo … e non so nemmeno da dove incominciare per il cappello … non vorrei temere per il peggio …” disse la sua ombra accigliata.
“Non penserai per caso a …” Aria si rabbuiò conseguentemente.
“Si mia cara … il collezionista delle cose perdute … quella peste di Tarkus il ragno” e così dicendo strinse i pugni che scintillarono di rabbia.
“Scusate signore … ma chi sarebbe questo Tarkus?” Seba sembrava ancora un pesce fuor d’acqua o meglio un uccellino fuor di nuvola in questo caso.
Aria corrucciata fu la prima a parlare “Caro Seba … Tarkus è una creatura millenaria … si racconta essere un enorme ragno brutto e peloso … prima venerato come un Dio … ma quando col passare del tempo le genti si sono dimenticate di lui sostituendolo con Dei più moderni e soprattutto più caritatevoli … la rabbia ha avuto il sopravvento e ha deciso di incominciare a rubare tutti i ricordi delle persone portando via da loro gli oggetti più cari … praticamente vive dei ricordi degli altri … il che mi rende contemporaneamente furiosa come una tempesta delle Hawaii e mi intristisce come una fitta e continua pioggia di un Settembre londinese” così dicendo prima una folata di vento forte scombinò i quattro capelli di Seba e poi una pioggerellina li bagnò appena.
“Calmati Ariuccia cara …” disse Lucella premurosamente “Se riesco a mettergli le mani addosso arrostirò quei suoi quattro peluzzi puzzolenti!! … però … c’è un piccolo problema” e così dicendo diminuì d’intensità luminosa dal picco di rabbia di qualche secondo prima (Seba aveva anche fatto un paio di passi indietro temendo una fissione nucleare nervosa).
“E quale sarebbe … ?” disse Seba curioso dimenticando l’eventuale fissione.
“Che non abbiamo la più pallida idea di dove possa rifugiarsi quel furbo cattivone! … e sinceramente posso anche affermare di non averlo mai visto … a dire il vero è più una leggenda per venticelli di primavera appena nati” e così dicendo Aria divenne alquanto pensierosa.
“Già … di conseguenza l’unico che ci può aiutare diventa il nostro caro … roccioso … anziano … e scorbutico …” e all’unisono le nostre bellezze della natura pronunciarono quel nome
“Saggio Sasso!!” chiave di volta della nostra stramba storia.
“Allora non c’è tempo da perdere!!” disse Aria lievitando sinuosamente accompagnata dai movimenti lenti e ondeggianti della sua chioma di fine terra. Seba sapeva benissimo che tra qualche istante si sarebbe volato di nuovo e salutò la paura che gli sorrideva nervosa al suo fianco “Ci si rivede la … almeno spero” pensò ironicamente.
“Andrò lentamente Ariuccia non vorrei seminarti in un istante” disse Lucella vanitosamente scuotendo elettrizzata i suoi lunghi ricci di bionda nebulosa e la sua evanescente veste di polvere di stelle.
“eh eh … io ho più stile nel volare Lucellina …” e così dicendo le mostrò la punta della lingua, quali dispettose forze della natura!
“Via verso la montagna perduta!!” fu l’ultima cosa che sentì Seba prima di venire d’improvviso trascinato in un vortice di vento monsonico accompagnato dal suo motto di volo “OH CAVOLO!!”.


“Ho perso il ricordo della tua bellezza quando una rosa è appassita; l’ho ritrovato immaginando il tuo volto”

         Una pioggia fitta spazzava uno scenario veramente inconsueto, che sfidava rilevantemente qualunque legge della fisica vi venga in mente; sono certo che chiunque di voi avrebbe fatto molta fatica a metterlo a fuoco, principalmente perché molti non avrebbero creduto ai propri occhi.
         Nel bel mezzo del più caldo deserto dall’aria tremolante tanto quanto il suo vaneggiante orizzonte di fuoco, si stagliava un cerchio perfetto di circa cinque chilometri di diametro, un’enorme cratere che sembrava disegnato con un gigantesco compasso, contenente una fitta foresta di piante pluviali. Questo apparentemente perfetto cerchio era tempestato da una pioggia perenne, proveniente da nuvole perenni che perennemente filtravano il sole che invece, a pochi centimetri al di fuori da questa enorme ampolla d’inverno, ardeva e spaccava la terra. Al centro esatto, su di un leggero rialzo dall’umido acquitrino sorgeva un enorme masso di forma pressoché conica con la base rivolta verso l’alto. Sulla sua superficie superiore era decorato con un curatissimo prato all’inglese, ma la cosa più sorprendente era come questo enorme roccia di almeno un centinaio di metri d’altezza tenesse perfettamente in equilibrio sulla punta: quale prodigio della natura!
Da lontano non si poteva però scorgere un piccolo ma sostanziale elemento di complicazione a questa strambo esempio di fisica d’altri mondi: la punta di questa enorme roccia non poggiava sul terreno, ma tra essa e il fondo rialzato del cratere si frapponeva un sasso. Si un semplice tondeggiante sasso pesante non più di un chilogrammo …
“Un chilo e 347 grammi per la precisione”
… scusi ma lei non dovrebbe interloquire con la narrazione, bensì con i protagonisti, mio caro Sasso.
“Oh … sono alquanto costernato … stupidamente pensavo che la narrazione avesse un ruolo da protagonista in una storia … mi perdoni”
… ma si figuri …
un semplice e tondeggiante sasso
“direi che sono più simile ad un geoide … sa la forma che ha il nostro amato et odiato pianeta terra …”
Mi dispiace che la narrazioni non la soddisfi caro Saggio Sasso, ma dovremmo proseguire con la storia altrimenti non posso introdurla nel discorso e di conseguenza lei non può essere la chiave di volta di questo racconto, penso sia abbastanza lusinghiero no?
“Si di questo me ne compiaccio … avrei preferito un narratore più esperto … ma posso accontentarmi … suvvia prosegua giovanotto … non ci siamo ancora presentati però … io sono appunto il Saggio Sasso … e lei è?”
Ehm … il narratore … piacere di conoscerla …
“Non ha un nome giovanotto? … un narratore così fantasioso figlio di una famiglia piuttosto poco fantasiosa?”
Non vorrei svelare il mio nome … comunque sono Sebastiano …
“il protagonista? Come può narrare in terza persona anche se stesso? … la trovo una scelta bizzarra!”
Ma è una mia scelta quindi la prego di astenersi da commenti inutili e la prego in tutta la sua saggezza di attenersi al filo del racconto … sono comunque lieto d’averla conosciuta.
“Ne puoi esser certo sono il tuo personaggio migliore figliolo … eh eh … dannazione torniamo alla storia … chiedo venia … sono i vaneggiamenti di un vecchio sasso”
Nessun problema … dove eravamo? …
“Alla mia forma geoidale …”
Incredibilmente questo enorme ammasso di pietra poggiava su di un piccolo sasso di forma geoidale, che a prima vista poteva sembrare una semplice e resistente roccia del deserto, ma conteneva tanta saggezza quante gocce di pioggia attraversano il cielo in un temporale invernale.
“Che sono tante per la cronaca gente!”
Già tante tante …
Un insperato e inaspettato squarcio nel cielo annunciava l’arrivo di insperati e soprattutto inaspettati ospiti alla corte del Saggio Sasso. Dalla fenditura tra le nubi emerse come un lampo la snella Lucella che tra le risa urlò “Prima!! … Sei una tartaruga Aria!” e in un mezzo batter d’occhio era già ai piedi del mastodontico cono rovesciato. Un attimo dopo planò sinuosamente, come brezza d’estate la dolce Aria urlando “Non c’era nessuna gara Lucella … antipatica!!” ma celava le risa mentre lo diceva. A seguire il nobile atterraggio di Aria tra gli applausi sarcastici di Lucella, planava goffamente il chimico Sebastiano, tra i gemiti e le raccomandazioni “Piano Aria … piano … con cura …”
“Che fifone che sei … ho guidato benissimo non ti puoi lamentare … mi hai anche fatto perdere la gara!”
“Ah allora c’era una gara … quindi vinco io chiappa di vento moscia!!” Seba seguiva la danza della vittoria di Lucella come ombra di un arbusto “Ma quanto sono bimbe pensava …” sorridendo tra se e se e riacquistando un po’ di colore dopo la provante esperienza aerea.
“Chiappa di vento moscia? … uffa … mi trovi ingrassata? … in effetti sto mangiando un sacco in questo periodo!” e s’imbronciò d’improvviso.
“Suvvia signorine … siete il ritratto della bellezza … posso ad oggi dire che mai i miei occhi si erano posati su così tanta meraviglia femminile” Seba a volta sapeva usar le parole come zucchero, tanto di cappello al nostro eroe panciuto.
Entrambe sorrisero ai complimenti del nostro chimico, Aria più timidamente, Lucella in maniera più sprezzante e carismatica, erano due volti diversi della stessa dolcezza.
“Lui è il Saggio Sasso caro Seba” disse Lucella indicando la roccia che si sovrapponeva tra la terra e l’immensa montagna conica.
“E’ una pietra …” disse Seba meravigliato, mentre Aria sorrideva pensando alla reazione dello scorbutico minerale.
“Una pietra? … una pietra? … vediamo fammi pensare … Saggio Sasso … Saggio Sasso … eh si pensandoci bene dà tutta l’idea di essere una pietra … altrimenti se fossi stato una balena sarei di certo la Saggia Balena … ciò dando per scontata una conservazione della saggezza da Sasso a Balena … “ disse una boccuccia di pietra apparsa sul sasso, due piccoli occhietti contornati da rughe sassosissime lo fissavano alquanto incavolati.
“Ehm … io … non intendevo …”
“Ah i giovani d’oggi … tutto fumo e niente fantasia … almeno io ho un nome che fa subito capire sia la mia razza … cioè quella minerale … che la mia dote migliore ovvero …”
“L’essere un Sasso tanto tanto carino ma scontroso?” disse Aria dolcemente.
“Oh tesoro mio … dolce venticello di valle ombrosa … sei sempre la benvenuta qui …” Seba d’un tratto capì quanto il sasso adorasse le lusinghe.
“Dolce Sasso” aggiunse Lucella “la vostra saggezza ci illumina più di un raggio di papà Sole in un mattino di primavera!” che creature dalla furbizia sopraffina!
“Oh Lucella … insieme di particelle di pura bellezza … non ti avevo visto … la mia stanca vista quasi mi faceva perdere cotanta visione celestiale … benvenute mie care … cosa posso fare per voi?” disse totalmente raddolcito ignorando la presenza di Sebastiano al suo cospetto.
“Ehm … io sono Sebastiano … è un piacere conoscerla sua saggezza” ma già il Sasso a Seba gli stava voluttuosamente sulle scatole.
“ … si … si … piacere ragazzo … sei una creatura solida particolare … quelli della vostra razza non hanno una chioma folta di solito? … sei forse tu un essere particolare? …” disse il Saggio con falsa sete di conoscenza.
“Per essere Saggio non avete mai visto un uomo con una calvizie cronica … sua Sassosa Saggezza” disse Seba con tonnellate di ironia a condire l’affermazione.
“Caro ragazzo … vi ho forse offeso? … chiedo venia sono sempre solo e spesso perdo i giusti modi con le altre creature …” disse il Sasso mentre guardava Lucella e Aria con occhi di chi ha un debole per entrambe “Vecchio mandrillo di carbonato di calcio” pensò Seba riconoscendosi geloso per la seconda volta in poche righe.
“Nessun problema sua Saggezza … siamo qui per chiederle consiglio … è chi meglio di voi può illuminarci!” e così dicendo Seba pensava “E’ perché ci sei solo tu in questa valle desolata vecchia antipatica pietra pomice altrimenti col cavolo che ti rivolgevo la parola”.
“Ah miei cari … per non fare falsa modestia posso dire che di certo siete nel posto giusto … se so far qualcosa oltre che lodare le mie due bellezze aereo – luminose … è dare consigli … e darli al momento giusto s’intende!” disse il Sasso con voce grave e radiofonica.
“Bene … “ disse Aria sprizzando impazienza da tutto il suo piccolo, dolce e gassoso corpicino.
“Sua Sassosità … stiamo cercando il ciondolo a forma di chicco di caffè di Aria … andato perso da poco … e il cappello del nonno di Seba … perduto già da tempo … e pensavo che in tutta questa storia potrebbe esserci lo zampino di Tarkus il ragno … collezionista di ricordi e cose perdute … voi sapete per caso dove possiamo trovarlo?” disse Lucella mentre Seba osservava stregato l’ombra dei suoi lunghi ricci muoversi come le foglie di un salice al vento.
“Mhh … capisco … so che non è cortese rispondere con una domanda ad una domanda … ma cosa vi fa pensare che ci sia lui dietro tutto questo? … sapete spesso tutti noi siamo vittime delle nostre azioni del passato … agli occhi di persone che non sanno accettare che si possa cambiare … se pur devo ammettere che quasi mai ho assistito a reali cambiamenti nelle persone in tutti questi secoli … millenni … di vita da Sasso” disse il minerale senza fiato sul finale del discorso.
“Tarkus è invero stata una brutta canaglia in passato … è già tanto che non ne sento più parlare … fatemi porre un’altra domanda … come mai tenete tanto a questi oggetti e volete riaverli?”
Aria fu la prima a rispondere.
“Il ciondolo mi è stato donato da Ardo … l’amor mio … e nei lunghi periodi nei quali non ci possiamo incontrare … mi ricorda di lui … il colore della sua folta criniera … la forza e la sua infinita dolcezza …” e mentre lo diceva una lacrima di neve scivolava lungo la sua liscia gota di scirocco.
“E’ dentro questo ciondolo il ricordo di lui? … è un ciondolo intriso di magia? …” disse il Sasso curioso.
“No sua Saggezza … è un ciondolo donatomi da lui … nessuna magia … è sono un simbolo del suo amore …” disse Aria stupita dalla domanda.
“Quindi perché hai bisogno di riaverlo? Perché tieni così tanto ad un oggetto se il ricordo del tuo amato è così forte e vivo dentro di te?” c’era qualcosa sotto le parole del Sasso, una profonda verità che voleva donarci, “Forse …” pensò Seba d’un tratto “Non è solo un vecchio minerale scontroso”.
“Non capisco cosa dite Saggio Sasso … è solo un oggetto a cui tengo molto … e non voglio finisca nelle mani di Tarkus … ad arricchire la sua folle e triste collezione …” e così dicendo le gote di scirocco avvamparono e Seba pensò di non voler mai assistere ad una scenata di rabbia della piccola, dolce, candida Aria.
“Capisco … ne convengo che le tue motivazioni sono valide e ragionevoli … e tu calvo solido?” disse il Sasso con un ghigno celato.
“Ehm … Sebastiano … può chiamarmi Sebastiano sua Pietrosità … quel cappello è un ricordo di mio nonno … le ragioni pur essendo di natura diversa sono le stesse … egli è morto già da tempo … e riavere il suo cappello mi farebbe piacere … molto piacere” ma il discorso fatto dal Sasso l’aveva già colpito nel profondo, lasciando il seme di una nuova verità al suo interno.
“Capisco … quindi voi semplicemente volete che vi dica l’ubicazione della dimora di Tarkus …. giusto?”
“Si sua Saggezza” dissero all’unisono i nostri ariosi, luminosi e panciuti eroi.
“Ricordate le parole di questa vecchia roccia … il ricordo che avete di una persona è dentro di voi e non nell’oggetto a cui date questo soprannaturale potere … quello che voi tanto cercate l’avete già … ma è una cosa che dovrete capire da soli … e forse questa ricerca vi farà bene … a tutti voi protagonisti di questa stramba storia …” così dicendo chiuse gli occhi che scomparvero dalla superficie del Sasso, solo la bocca continuava a parlare.
“Tarkus dimora in uno luogo dove né la luce né il vento possono entrare … non una reggia … ma un ammasso di ricordi gettati ed abbandonati … sono certo che alla fine di questa avventura … vi risveglierete come da un sogno …” e così dicendo scomparve anche la bocca.
“Un’ultima domanda” disse Seba cogliendo alla sprovvista tutti “Come mai siete sotto questo enorme masso?” disse Seba sorridendo.
“E’ la mia folta chioma caro … io posso permettermi una capigliatura più che stravagante … ah ah ah …” la bocca era già scomparsa quando le risa ancora echeggiavano in questa valle di sogno.
Son poche le parole per descrivere il volto di basito Seba a quella risposta, ma il suo istantaneo malumore fu portato via dalla vista di un bellissimo sassetto verde accanto al suo piede, proprio sul fondo di una pozzanghera, era una pietra di Malachite (un coloratissimo minerale di rame), che raccolse e mise in tasca con uno sorriso da chimico contento.
I nostri protagonisti qualche istante dopo si librarono in volo verso un cielo più azzurro per decidere la prossima mossa.
“Tarkus stiamo arrivando!! Incomincia a tremare!!” disse Aria intrisa di tempesta, seguita da Lucella color del fulmine e da un Seba annaspante e spaventato. I tre scomparvero dallo squarcio tra le nubi nere da loro stessi creato qualche tempo prima e il solo suono che pervase la valle fu nuovamente quello dell’incessante pioggia.
“La risposta è già dentro di te giusto narratore?”
Si Saggio Sasso, la so fin dal principio.
“Non sei così stupido come ti dipingevo … quindi in fin dei conti non sono poi così saggio forse …”
Lo siete sua Sassosità, lo siete.




“Dentro la lente dei miei desideri ho visto i miei sogni di rugiada scendere lungo una foglia di realtà”

Seba fissava dritto nelle quattro paia di occhi di Tarkus immobilizzato di fronte alla maestosità dell’enorme aracnide che troneggiava nel suo antro colmo di cianfrusaglie d’ogni genere. Pur essendo mal illuminato da lampade di ogni tipo (dalla lucetta notturna per i bimbi a lampade post moderne da salotto) si riusciva comunque a delineare la sua enorme figura. Da quella che poteva definirsi una bocca una voce tetra e strascicata ruppe il sottofondo di dolci musiche di carillon che echeggiavano per l’ambiente:
“Tarkus non ama i visitatori stupido essere umano!” e così dicendo della bava colò lenta dalle zanne, Seba osservò la paura li al suo fianco tremare come in preda ai brividi della febbre e pensò d’improvviso che questa fosse la fine.
“Il Saggio Sasso deve aver fuso quel suo cervello di pietra … invece di farci la paternale poteva parlare più chiaro” disse Aria mentre osservava attenta lo stato della sua manicure gassosa.
“Lo sai benissimo che adora ciarlare per enigmi … quindi smettila di lamentarti e spremi le tue ventose meningi …” e così dicendo Lucella si rimise braccia di fuoco conserte mentre Seba osservava la sua piccola ombra sulla superficie bianca della nuvola, ottenuta contrastando al rigoglioso fascio luminoso la sua mano nel tentativo di riparare un po’ gli occhi.
I nostri atipici avventurieri stazionavano pensierosi su di una nuvola vicino alla cima di una montagna tutta innevata; Aria per evitare di far congelare il povero Seba in maglietta e pantaloncini lo avvolgeva con un vitale riscaldamento grazie a qualche sbuffo di un caldo vento tropicale.
“Né tu né Aria potete entrarvi …” disse Seba riemergendo dai profondi pensieri in cui era da qualche minuti precipitato.
“… cosa può fermare te Lucella? … sei un fascio di luce … un meraviglioso fascio di luce direi …”
“Smettila di fare come quel marpione pietroso …” disse Lucella con un sorriso provocatorio.
“Ehm … si … direi che una superficie riflettente potrebbe darti un certo fastidio …” disse Seba sottintendendo “eureka!”.
“Già … uno specchio!” disse Aria contenta “Come quella volta che ti feci quello scherzo … ah ah ah … che risate …” e incominciò a ridere perdendo la concentrazione sulla corrente che teneva Seba sulla nuvola (sprofondò di un bel metro) e la brezza tropicale che evitava di farlo congelare (incominciò a battere i denti quasi da subito per il freddo).
“Aria … tttesoro … ccconcentrati!!” disse Seba raggelato.
“Scusa Seba … perdonami … però è stato un bello scherzo metterti tutti quegli specchi e farti rimbalzare da uno all’altro quella volta …” disse Aria trattenendo le risate a stento.
“Si … uno scherzo davvero divertente … vogliamo ricordare quella volta che ti sparai tramite quel phon gigantesco? … ah ah ah … ne uscisti alquanto scombinata … non sembravi tanto alla moda con i capelli tutti elettrizzati” disse Lucella con un pizzico di cattiveria facendo mutare il sorriso di Aria in uno sguardo minaccioso.
“Esatto! … quello che può fermare Aria … sono invece delle forti correnti artificiali … non so … degli enormi ventilatori … o qualcosa di simile …” così dicendo Seba sentiva la soluzione a portata di mano, e in effetti non aveva tutti i torti il nostro panciuto eroe.
“Quindi ricapitolando … cerchiamo un posto … una specie di discarica di roba abbandonata … con una sottospecie di antro protetto da specchi e ventilatori … su per giù …” disse Seba risolutivo
“I tuoi occhi fotonici vedono qualcosa del genere Lucella?” disse Aria pronta all’azione.
“Mhhh … ci sarebbe una discarica abbandonata … al centro di un paesino altrettanto abbandonato ... eh si potrebbe proprio fare al caso nostro questo postaccio … direi che è la che dobbiamo andare … ma …” esitò Lucella d’un tratto.
“Ma cosa?” disse Seba fissando la sua ombra riccioluta.
“Né io né Aria potremo aiutarti … dovrai entrare solo la dentro … sei sicuro di voler correre questo rischio?”
“Già è vero … è troppo pericoloso Seba …” disse Aria con viva preoccupazione.
“Mie care amiche … la dentro c’è qualcosa che devo capire … che vale ben più di un cappello … fidatevi di me …” questo si che era parlare da eroi, un po’ meno calvo e po’ meno panciuto e Seba non sfigurerebbe in una battaglia tra scintillanti cavalieri.
“Quindi … Aria … Lucella … andiamo veloci un po’ più del vento e un bel po’ meno della luce!” e così dicendo il trio sprofondò nella nuvola per ritrovarsi in caduta libera verso l’epilogo di questa storia.
I nostri tre protagonisti fissavano pensierosi l’ingresso della sperduta cittadina di Bannack: questo ammasso di fango ed edifici diroccati sembrava direttamente emerso da un film spaghetti western; il cartello che segnava l’inizio del territorio urbano recitava <<Bannack, città dell’oro, abitanti 1>>. La parte del cartello che registrava la popolazione della città era palesemente stata ritoccata più e più volte a sottolineare il decremento demografico costante; la febbre dell’oro era passata.
I tre nostri eroi fecero qualche passo nella strada principale (d’altro canto l’unica) tra case abbandonate e negozi sbarrati: Seba adocchiò il classico Saloon con l’altrettanto classica porta a due ante scorrevoli che sbatteva in preda al vento; dovette resistere fortemente all’impulso di provare a fare un ingresso da cowboy in quella bettola diroccata.
Il trio procedeva spedito, con Seba davanti, eroe senza tempo, senza macchia e senza chioma. Bannack guardava i nostri prodi attraversarla inerme, ma due occhi osservavano stupiti, due occhi che riconoscevano a stento una figura umana. Rumore di stivali e speroni nel silenzio della città fantasma.
<<Bannack, città dell’oro, abitanti 1>>,
a volte i cartelli non mentono. Il trio si arrestò d’improvviso quando una un’ombra attraversò la strada fermandosi al centro esatto, come a sbarrarne il passo. Cappello sugli occhi a celarne lo sguardo, barba lunga bianca incolta, stella lucente sul petto, cinturone. I nostri eroi, tenendosi a distanza di sicurezza, osservarono cautamente. Seba era in piena immedesimazione da cowboy, e fidatevi quel ragazzo sa immedesimarsi fin troppo bene.
“Salve stranieri …” disse l’uomo con voce roca. “Cosa vi porta a Bannack? … Non vogliamo guai qui … è una cittadina tranquilla” e così dicendo sputò in terra del tabacco masticato, accarezzando quella che sembrava una pistola, penzolante dal cinturone di cuoio scuro.
“Siamo qui per Tarkus … non portiamo nessun problema … dobbiamo solo parlargli” disse Seba con una voce calma, decisa, sensuale. Aria e Lucella si guardarono con volti stupiti.
“Ragazze … qui ci penso io … restate indietro” disse un Seba intriso di coraggio e cavalleria con una spiga di grano in bocca.
“Dove l’hai presa quella spiga?” disse Aria stupita.
“Seba posso liberarmi di questo tipo bruciandogli le chiappette in un attimo” disse Lucella frettolosa.
“Tranquille dolcezze … me la sbrigo io … è una vita che sogno di fare una scena western … sarà divertente …” e mentre lo diceva fremeva con un bimbo.
“Ha una pistola Seba” disse Aria con il tono di chi parla a chi non vuol sentire.
“Niente ferisce più di una parola mia cara” disse lentamente il nostro Billy the kid panciuto.
“Fa molto più male una pistola secondo me” disse Lucella con etti di sarcasmo.
“Fidatevi cavolo ….” e si voltò verso la strana figura ruminante tabacco.
L’unico abitante di Bannack riprese a parlare
“Io sono lo sceriffo McKanzie … la mia parola è legge qui a Bannack … e sono un tipo che parla poco … faccio parlare di più lei …” e con l’indice lisciò il calcio in legno della pistola.
“Non siamo qui per metterci nei guai … vi ripeto siamo qui per parlare con Tarkus … sapete dove si nasconde quella canaglia?” disse Seba come inquadrato da un primo piano di Sergio Leone, sopracciglio sinistro leggermente alzato.
“Non c’è nessun ragno gigante qui … andate via prima che vi facciate del male” e col capo fece un cenno come ad indicare l’uscita del paese.
I nostri tre protagonisti si guardarono stupiti; Seba prese la parola.
“Nessuno di noi ha parlato di nessun ragno gigante sceriffo …” scacco matto pensò Seba, ma ignorava quanto la solitudine avesse tarlato il vecchio McKanzie: erano quasi 20 anni che non vedeva un essere umano, da quel giorno che venne un venditore porta a porta che aveva smarrito la strada; lo sceriffo si ritrovò poco dopo solo con in più uno splendido aspirapolvere, mai adoperato.
“Andate via vi dico … non c’è nessun Tarkus qui … al mio padrone non piacciono i visitatori …” disse con freddezza alzando il cappello che rivelò due occhi stanchi uno dei quali in preda a diversi tic nervosi. I tre si guardarono nuovamente sempre più stupiti.
“Complimenti ai servitori di Tarkus … dovrebbe sceglierseli meglio” disse Aria annoiata.
“Già … questo ha perso qualche fotone in tutti questi anni di solitudine” disse Lucella spazientita.
Seba sentiva l’atmosfera western sciogliersi come un ghiacciolo all’equatore.
“Non mi avete sentito? … lasciate immediatamente la città … altrimenti dovrò intervenire … non saprete nulla da me … non vi dirò che Tarkus dimora nella discarica abbandonata appena fuori la città … dovete attraversare main street e uscire all’altezza del cimitero” e mentre indicava la strada con dei gesti “… non vi potete sbagliare vedrete una costruzione centrale piena di specchi e ventilatori sempre accesi … non vi dirò nulla stranieri … sarò una tomba … lo giuro su mio nonno Julius McKanzie” e sorrise sarcastico concludendo la sua esauriente confessione, che segnò la fine del suo ruolo in questa storia.
“Non vi dirò nemmeno che questa pistola è finta … è in realtà un calcio di legno attaccato alla fondina … così che voi creduloni pensiate che io sia armato e ciò vi tenga a distanza … nossignore non dirò niente di tutto questo … ah ah ah … per tutte le vacche del Montana!” credetemi una volta lo sceriffo McKanzie era un tipo tosto, aveva catturato da solo i cinque fratelli Hanson, che avevano già rapinato più di dieci banche nella zona ed altrettante diligenze; beh lui li aveva arrestati senza neanche sparare una pallottola, ma il tempo passa per tutti.
Seba coprendosi il viso si voltò lentamente verso Lucella con un’espressione delusa
“Uffa ha rovinato tutto … non fategli troppo male mi raccomando” disse Seba il chimico che una volta amava tanto il far west.
Lucella e Aria si guardarono con un sorriso vispo, condito da un po’ di sana cattiveria: la nostra bellezza fotonica schioccò le sue sottili dita di fuoco e una scintilla apparve alla spalle dello sfortunato sceriffo all’altezza del suo ossuto sederino. Aria comandò ad un po’ di molecole d’ossigeno di alimentare la fiammella sui pantaloni del povero McKanzie soffiando dolcemente, e mentre sorrise beffardamente, con tanto di occhiolino ammiccante, al servitore di Tarkus.
Lo sceriffo per qualche secondo li osservò con uno sguardo interrogativo, ma quando l’odore di bruciato arrivò alle sue pelose narici, il dolore incominciò a farsi sentire e urlando scompose la figura di duro del west e scappò via, perdendo il cappello, in direzione del torrente (una volta pieno d’oro) che costeggiava il fianco del paesino di Bannack. L’ultima cosa che sentirono fu il rumore provocato dal tuffo del povero sceriffo nel fiumiciattolo.
“Bannack … città dell’oro … abitanti col sedere scottato … uno” disse Lucella con una frase ad effetto. Sono veramente due bellissime pesti, pensò Seba raccogliendo il cappello dello sceriffo da terra e soffiandoci sopra per spolverarlo.
“Ne ho sempre sognato uno … ma … non mi sembra in condizioni igieniche decenti questo … era meglio se finiva nel fiume con il padrone … vabbè non indugiamo oltre … Tarkus ci attende” e così dicendo i tre percossero la strada principale seguendo le istruzioni gentilmente fornite dal povero McKanzie.




“Seduto sotto il fresco di un albero di pesche mi liscerò la barba bianca, suonerò per voi canzoni di ruggine e sorriderete con me in un giorno che non avrà mai fine”

Alla vista della dimora del ragno Tarkus, Seba infine realizzò che avrebbe dovuto vedersela da solo con l’antagonista designato di questa stramba vicenda.
Per la prima volta vide la dolce Lucella fu abbagliata dalla sua stessa intensa e infuocata presenza, non appena scorse i primi specchi messi a difesa dell’inusuale maniero. La discarica al centro della quale si ergeva quel cumulo di cianfrusaglie non era un deposito di spazzatura, bensì conteneva infiniti oggetti d’ogni sorta molti dei quali in ottimo stato: trenini giocattolo, palloni, libri, costumi di carnevale, vaschette dei pesci rossi, orsacchiotti di peluche, veramente di tutto; era la preziosa collezione di Tarkus. Un cumulo più consistente di roba costituiva l’antro del ragno ricoperto da specchi di ogni tipologia: dallo specchietto per rifarsi il trucco a vetrate multicolore da cattedrale gotica. Come l’aglio per i vampiri o l’argento per i licantropi, lo specchio era il nemico giurato di Lucella.
“Io non posso andare oltre ragazzi … mi dispiace” disse Lucella furente.
“Se lo porti allo scoperto … giuro su papà Sole  che lo cuocio quel ragnetto puzzolente” e così dicendo si voltò infastidita dal suo stesso luminoso riflesso.
L’ingresso della caverna era ostacolato da centinaia di ventilatori che qualche passo più in la cominciavano a scompigliare la chioma della bella Aria e il vestito di Maestrale:
“Maledizione mi si rovina l’acconciatura … “ disse arrabbiata.
“Seba sei sicuro di voler andare li dentro … non voglio ti succeda qualcosa … forse è meglio lasciar stare” e così dicendo si leggeva in quel bel volto gassoso la preoccupazione, mentre si proteggeva gli occhi con la sua mano di vento, dal suo giurato arcinemico, il ventilatore.
“Stai tranquilla Aria … fidati di me … ci penso io da qua in poi” disse Seba trasmettendo calma e sicurezza con quelle parole.
Ne trasmise talmente tanta che, appena entrato nella caverna tra due enormi rumorosissimi ventilatori, ebbe d’improvviso paura, ritrovandosi nella semioscurità, mentre piombava attorno a se un innaturale silenzio d’oltretomba.
“Ecco …” disse Seba dopo qualche passo in questo inferno di giocattoli “L’hai voluta la bicicletta? … beh adesso pedali!” e così dicendo ironicamente inciampò su di un triciclo, rovinando a terra tra un cumulo di barbie e delle macchinine radiocomandate. Un ingresso ad effetto non c’è che dire.
Rialzatosi dall’infelice caduta si staccò qualche tassello di un puzzle appiccicatosi al volto. Nel silenzio che aleggiava, il nostro tremolante eroe pensava di sentire il profondo respiro del ragno. In fondo al corridoio di pareti di giocattoli c’era un apertura circolare del diametro di un metro circa. Seba pensò che forse Tarkus avesse costruito il suo santuario attorno alla sua mastodontica mole. L’inerzia della storia lo portava oramai verso quella finestra, e da li all’inevitabile scontro finale. Colmò con qualche passo la breve distanza e i suoi occhi alla vista del ragno si spalancarono increduli, mentre una musica di carillon prese a suonare, dolce colonna sonora dell’epilogo di questo sogno.
“Tarkus non ama i visitatori stupido essere umano … mi hai sentito? … va via prima che scateni la mia collera su di te” Seba non indietreggiò solo perché paralizzato dalla paura.
“Tarkus … sono qui per prendere due oggetti che non ti appartengono …” disse Seba stupendosi della convinzione con cui ruppe il suo silenzio.
“E cosa ti fa pensare che invece di starti ad ascoltare non danzerò sulle tua fragili ossa frantumandole?” ringhiò il vecchio ragno rantolante.
Era una valida obiezione, pensò Seba, non c’è che dire.
“Voglio il ciondolo a forma di chicco di caffè di Aria e il cappello di mio nonno … tutto qua …” disse con sempre minore convinzione.
“Voglio? … voglio? … e chi sei tu per volere qualcosa? … qui tutto appartiene a me … ricordi compresi” disse il ragno accarezzando con la sua zampa il cappello del nonno apparso dal nulla (era più grande di quanto si ricordasse) insieme alla sua pista di macchinine, la lavatrice giocattolo (di questo si vergognava ma da piccolo l’adorava) e una busta piena di soldatini di plastica grigi (tedeschi, ne aveva a centinaia). Le proporzioni degli oggetti nei confronti del ragno lo confondevano alquanto, dentro di se il seme del dubbio iniziò a sbocciare e quando la finestra da cui osservava la mastodontica creatura tremolò ad un suo respiro sfocando per un attimo la vista di Tarkus, realizzò l’inganno e sorrise beffardo.
L’indice di Seba si mosse lento verso l’apertura circolare.
“Fermo stolto o perderai ben più dei tuoi stupidi ricordi di bambino” ma era inevitabile, ci voleva una frase ad effetto pensò Seba
“Mai mettersi contro un chimico … ragnaccio peloso!” frase perfetta, ne convenne. L’indice raggiunse il cerchio e la bolla di sapone con cui la figura di Tarkus veniva genialmente ingrandita scoppio d’un tratto, rivelando le sue reali e innocue dimensioni. Un semplice e comune ragnetto tuonò con una voce possente
“Maledetto hai scoperto il mio segreto!!” mai mettersi contro un chimico appunto. L’ultima cosa che mancava fu di facile risoluzione: Seba staccò un cavo che partiva da dei microfoni mal celati attorno a Tarkus e finivano in delle casse che amplificavano e abbruttivano la vocina di ragno.
E’ vero ognuno di quegli oggetti riportava Seba memoria di eventi e persone lontane nello spazio e nel tempo: suo nonno che dormiva sul divano russando a bocca aperta quando Seba di so quatto gli tappava il nasone; le volte che andavano alla pineta come improvvisati esploratori e osservava il padre meticolosamente organizzare il barbecue; questi e tanti altri ricordi erano dentro di lui e di certo non erano legati a nient’altro che al suo stesso cuore.
Tarkus col passare dei millenni, man mano che le persone si dimenticavano della sua stessa esistenza perdeva forza e potere, e ripiegava lentamente verso le dimensioni di un più normalissimo ma arrabbiatissimo aracnide, neanche poi tanto brutto a dire il vero. Non bastarono questi trucchetti da quattro soldi a salvare il suo segreto, e fu così che Seba si trovò dinanzi ad un antagonista più alla sua portata. Del possente Tarkus era rimasta la sua nomea di creatura spaventosa e terribile; sciolta come neve al sole la paura, il nostro eroe con in pugno lo scontro aprì bocca.
“Eh eh eh … ricominciamo d’accapo … dammi il cappello di mio nonno e il ciondolo di Aria … se non vuoi che ti porti fuori con me ad essere oggetto della sua collera … insieme a quella della focosa Lucella” il ragnetto chiuse un paio di occhi al pensiero di se stesso arrostito.
“Il cappello è qui maledetto … prendi ciò che vuoi … ma di questo ciondolo non ho memoria …” disse una vocina fine fine appena percettibile.
“Non mentirmi Tarkus … dammi il ciondolo di Aria … non t’appartiene” tuonò il nostro eroe deciso.
“Non ho alcun ciondolo ti ripeto … va via adesso … lasciami al mio oblio …” una lacrimuccia scese dall’occhietto di ragno.
Seba sapeva che ciò che Tarkus diceva era la verità. E come anticipato dal Saggio Sasso, era stato troppo facile dare la colpa al cattivo di turno in questo caso.
“Ti credo venerabile Tarkus … ma smettila di vivere dei ricordi degli altri … ma fattene dei tuoi … incomincia da questo …” e così dicendo lanciò vicino al ragnetto la pietra di malachite raccolta vicino al Saggio Sasso.
“Conservala come ricordo del nostro primo incontro …” il ragno lo fissò stupito come chi non avesse mai ricevuto niente in tutta la sua esistenza; si stupì dello stesso stupore che provava.
“Va via maledetta creatura … mi hai ferito nell’orgoglio non farti mai più rivedere!” e così dicendo il ragno si nascose in un buco tra delle costruzioni giocattolo e la scatola di un gioco di società. Seba si voltò cappello in testa, vittorioso, ma solo in parte. Con la coda dell’occhio notò felicemente che la pietra di malachite era scomparsa, futuro seme di speranza.
Seba sedeva dondolandosi su di una sedia al fresco sotto la tettoia che ricopriva il polveroso ingresso del saloon abbandonato. Col cappello sugli occhi e la spiga di grano in bocca attendeva calmo la risposta di Aria che faceva su e giù nervosamente
“Ma sei sicuro che dicesse la verità? …” disse Aria per la terza volta in preda allo sconforto.
“Si Aria … mi dispiace Tarkus non ha il tuo ciondolo” disse definitivo il nostro eroe panciuto.
“Uffa … chissà che fine avrà fatto allora” e la voce s’incupì nuovamente come la prima volta che Seba l’aveva ascoltata.
“Dai Ariuzza bella … non pensarci” disse Lucella con fare materno “Ardo te ne regalerà un altro … il vostro sentimento è puro … non è mica in discussione” e così dicendo ad un cenno della mano apparve un arcobaleno li accanto a loro e Lucella intonò le prime note di una canzone da bettola western sul pianoforte dagli infiniti tasti. Seba raccolse una vecchia chitarra arrugginita li accanto a lui, ritrovata pocanzi e seguì il flusso di note della sua focosa amica.
Aria se pur lentamente si rasserenò al suono di quella dolce e lieve melodia. Dapprima impercettibilmente e man mano più vivacemente, si mise a ballare al ritmo di quelle coinvolgenti note, con entrambi gli occhi chiusi e con un bel sorriso stampato in volto.
Lucella suonare ed Aria ballare,
Seba non aveva mai visto niente di più bello (a rovinare quel meraviglioso affresco di bellezza c’era solo lo sceriffo ubriaco in terra che respirava pesantemente a faccia in giù con i pantaloni tutti bruciacchiati).
Ad un movimento sincopato di Aria nell’estasi di quell’armonia musicale, un piccolo oggetto le scivolò dai folti capelli di terra dai quali era celato; come una lacrima scivola sul viso, cadde lieve sul legno delle assi che ricoprivano l’ingresso del saloon. I tre interruppero la canzone fissandolo increduli: era il ciondolo di Aria, che in fin dei conti non era mai scomparso. Lucella lo fece brillare indicandolo con il suo dito di fotoni e sorridendo disse:
“Sei sempre la solita pasticciona lo sai vero?”



“Mi risveglio da un sogno, emergendo dalle profondità dei miei desideri, quasi soffocato dalla loro inebriante fantasia”

Seba aveva salutato Lucella dalla nuvola sulla quale si erano conosciuti, perché dove andavano ancora l’alba non era spuntata e lei non poteva seguirli.
Aria depositò lieve il nostro panciuto eroe all’interno della sua stanza e si sedette sul davanzale accavallando le gambette di vento contornate dai suoi brillanti stivali azzurri di fredda Bora, il ciondolo brillava al collo della nostra protagonista.
“Ci rivedremo ancora Aria?” disse triste Sebastiano.
“Certo amico mio … sarò sempre intorno a te” disse sorridendo con le sue belle labbra di vapor d’acqua.
Seba si tolse il cappello e lo poggiò delicatamente sulla chioma di terra della sua gassosa amica.
“Voglio che lo tenga tu … non ne ho bisogno … i ricordi li tengo tutti qui … anche il ricordo di te” e così dicendo si mise una mano sul cuore di chimico.
Aria sorrise ancora e proprio in quel momento giunse l’alba fiera e luminosa più che mai alle sue trasparenti spalle. Seba si destò d’improvviso con un fascio di luce in volto e una brezza mattutina accarezzargli gli sparuti capelli. Per un attimo gli parve di scorgere un cappello leggiadro volare tra i rami degli alberi, proprio li fuori dalla sua finestra.
Ci sono notti in cui si sogna più che dormire; in queste notti il cuore sottende all’infinito, i desideri incontrano le nostre nascoste passioni e la realtà spiega le ali della nostra libera immaginazione. Sono i momenti in cui il Seba che è dentro ognuno di noi vive ancora.

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