Incredibile
E' incredibile come l'inizio di questo racconto abbia un retrogusto da ultima pagina: personalmente odio quelle ultime pagine da poche righe, soprattutto se il libro in questione è stato più che avvincente, perché non appena si volta la penultima pagina ci si ritrova davanti al bianco shock del vuoto di caratteri, una ultima pagina senza scampo, come il vicolo cieco di un labirinto, son cose che possono mandarti dal terapista. Tutti vorremo che la fine di una storia fosse cesellata da sorrisi, abbracci e magari qualche lacrima composta; un finale maturo di una storia matura, che ricopre i personaggi di un'aura da domanièunaltrogiorno. Cazzate; poetiche, illuminate, illuministe, da lui che non si volta mentre l'amata guardando le sue bellissime spalle in un completo grigio scuro piange ma non come piangiamo noi bensì diversamente, da alba sul mare che magari è un tramonto, da archi in crescendo come i film anni cinquanta (che una volta ne avevo visto uno interpretato da elvis e non era male), trepidanti, accorate, accigliate, makeuppate MA pur sempre cazzate. Nella realtà i finali son sempre veramente irrisolti. Ti lasciano come quando non sai se hai veramente finito di cagare, mediamente svuotato ma non del tutto. Nella realtà quando una cosa finisce, spesso te la trascini per anni e anni, e ci si metton su talmente tante croci sopra da sembrare un camposanto. Beh questa storia qui è così, ve lo anticipo preliminarmente: ha un inizio già iniziato, non un vero principio, è un po' come montar di corsa su di un vecchio treno sferragliante appena partito quando hai qualche chilo di troppo, ed il finale poi lascia proprio a desiderare tanto che son stato grandemente dubbioso se valesse la pena perder tempo per raccontarla. Poi sono arrivato alla giusta conclusione che ci son storie che son belle nel mezzo; se è vero che la mente umana comprende il significato di una frase carpendolo da sole poche parole, se doveste leggere questa storia nella istessa maniera, beh, perdincibacco, non ci capireste un cavolo. Questa storia ha senso se digerita nella mediocrità del messaggio che custodisce, perché non ha ne eroi ne tanto meno eroine, bensì tre fantastici esponenti di tutto ciò che è medio. Questa storia andava raccontata soprattutto considerando questa enorme piscina ripiena di appiccicoso caramello che è la mediocrità della società italiana di questi ultimi anni. I nostri protagonisti non si stagliano sul medio ed incolore, ne ne son esponenti negativi, maleodoranti, rigonfi di odio o chissà cos'altro. Sandro, Silvio e Nicola sono la stereotipatissima generazione X.
Sandro, Silvio e Nicola non sono dei vincenti, da aperitivo sul mare accompagnati da qualche gran figona in vertiginosa minigonna, ne dei perdenti, che trascinano la loro esistenza bohemiene nascondendosi dietro ideali di estremismi politici o che fanno della sopraffazione l'unica forma di riscatto sociale.
Non son vincenti, non son perdenti. Son la generazione X: quella che con la vita ci ha pareggiato.
Quei durissimi chewing gum
Sandro pensava intensamente con il suo miglior sguardo alla
Giucas Casella, fissando la bocca perfettamente tonda del suo interlocutore, a
quei durissimi chewing gum che distribuivano delle macchinette nei tabacchi
quando lui era piccolo: dolcissimi, ma impossibili da masticare se non dopo ore
di “succhia succhia” (Cit. 3° livello) (Ci sono tre tipi di citazioni: 3° livello, che dimostrano conoscenze letterarie/musicali/pittoriche/cinematografiche, tipica conoscenza inutile; 2° livello, pornografiche classiche e citazioni da racconti sessuali con protagonisti terze persone anche non confutati; 1° livello, sessuali ma esclusivamente riferiti a esperienze dirette comprovate da solide prove).
Come un monaco tibetano si esercita in gite fuori porta extracorporee
domenicali, Sandro si estraniava, catapultava via forzatamente il suo molliccio
cervello siciliano oltre l’orizzonte innevato, per evitare di prendere chi gli
sedeva di fronte a sberle o peggio ancora di fargli dir “cheeeseee” con la
faccia nella toilette profumo lavanda del TGV Parigi-Milano, ovviamente il
tutto dalla classica inquadratura dal punto di vista dell’interno tazza.
Le toilette dei treni francesi meritano una piccola
digressione: esse hanno il 97% dell’atmosfera interna di pura molecola di lavanda
e il 3% di ossigeno libero, di conseguenza anche la minima flatulenza può
provocare l’asfissia verso una morte certa dell’occupante: infatti una volta
Sandro era talmente tanto in carenza di ossigeno che dimenticandosi di chiudere
la porta su di un regionale verso Lione in quel super tecnologico cesso ferroviario
si era pisciato tutti i pantaloni perché il controllore aveva aperto la porta d’improvviso
e “pardonemuà monsieur e mannaggia a chi te murt”; questo ovviamente di fronte
a tre francesine sedicenni che transitavano nel mentre dinanzi alla toilette in
tipica divisa da collegiale. Pisciarsi dei pantaloni in pubblico è una cosa
veramente democratica: rispetto al pantalone urinato le differenze sociali si
annullano ed è in quei momenti che lo stile fa la differenza. Sandro era tornato
come se niente fosse al proprio posto ancheggiando come il più molleggiato
Celentano.
Ma tornando al presente, Sandro e il suo appiccicoso interlocutore
avevano in comune due cose: i loro DNA appartenevano alla specie umana ed
entrambi erano emigranti in Francia. Stop. Per il resto il signor “Francesco ma
tutti al paese mi chiamano ciccio” apparteneva alla classe dei <<coglioni
saccenti so tutto io della vita uomo di mondo fidati che se l’Italia va a
puttane è per colpa dei negri e degli slavi>>.
“Perché capisci questi qua vengono e rubbano… stupprano… e
poi nun si lavano mica!? Dimme na cosa buna che hanno fatto gli slavi?” e
continuava a ruota libera mentre Sandro invecchiava come il ritratto di Dorian
Gray dall’omonimo romanzo.
“il porno” e così dicendo Sandro alzandosi raccolse la borsa
e andò via a cercarsi un altro posto per continuare il viaggio in santa pace.
“ma perché mi capitano sempre sti personaggi cazzo?” pensava
tra se e se Sandro “perché non mi possono succedere degli incontri assurdi di
maiale indemoniate come a quel bastardo di Silvio!” così dicendo borbottava e
rimuginava attraversando vagoni strapieni di persone in palese eccesso di
anidride carbonica.
Sandro si riferiva a quella volta che il suo migliore amico
Silvio, che avremo presto il dispiacere di conoscere, aveva trovato una tipa
fuori di testa su di un intercity Roma-Firenze che l’aveva trascinato in bagno
e aveva preteso un campionario completo di cazzi stile manuale delle giovani
marmotte maiale edizioni bompiANI (cit. 1° livello). Come se non bastasse la
suddetta ragazza di un età non meglio identificata, per rimanere nello
stereotipo della maiala come solo Silvio sapeva trovarne, aveva continuato ad
assillare il povero Silvio di videochiamate skype che avevano come tema
principale la sparizione di vegetali e di frutta fallica nei voraci vegetariani
orifizi della giovane: poi non dite che le nuove generazioni ignorano il
terziario e l’artigianato! La tipa riusciva a tornire una zucchina col culo in
20 secondi tagliandola alla julienne come il miglior gordonremsy. La “vegetacazzi”
così come era stata soprannominata aveva interrotto la relazione skype dopo che
Silvio aveva chiesto una notte, con tutto il suo charme sardo, “Ma poi sta roba
la lavi e la mangi o la butti?”.
Niente da fare a Sandro capitavano solo rompicoglioni. Nel
grafico a torta che è la vita del povero Sandro, nemmeno uno spicchietto era
dedicato agli “incontri sessuali promiscui ferroviari”. Che vita buttata dal
finestrino di un treno in corsa!
In effetti non c’è miglior modo di presentare i nostri
protagonisti se non attraverso il rapporto che hanno con il gentil sesso, che
poi nel caso di Sandro questo “gentil sesso” aveva avuto inizio con una sua
famosa cugina ampiamente navigata di trapani, che aveva trasformato una normale
gita al mare in un incredibile evento! Non poteva mai dimenticare come, mentre
Sandro faceva il suo dovere, lei continuasse a chiedere “Ti piace eh? Ti piace
si vede! Ti piace eh? Ti piace o no?” ma che cazzo di domanda è pensò sul
momento Sandro alquanto confuso. Questo evento lo segnò talmente tanto che
durante la sua seconda volta con una bellissima compagna di classe del tempo
(Katia si chiamava, ma quanto cazzo era bella Katia!) Sandro costellò l’incontro
farcendolo con “minchia quanto mi piace! Quanto cazzo mi sta piacendo! Oh certo
che veramente mi sta piacendo un sacco!” pensando che la prima volta avesse
peccato in comunicazione. Katia apostrofò d’improvviso “Ma sei scemo o cosa?”.
Quindi il rapporto di Sandro con le donne può riassumersi
nella parola: problematico.
Il nostro caro Sandro era il tipo che si innamora delle
migliori amiche e poi ci sta male se loro rispondono :”chiamo il 113”. Quanta
ineducazione al mondo. Quante incomprensioni. Quante chiamate al 113.
E quella volta che dichiarandosi ad una donna lei l’aveva
interrotto dicendogli “Ma no no no io non ti amo comunque”? Eventi biblici.
“e cazzo fammi finire almeno” aveva pensato e mentre
piangeva sull’honda bali del 92 che aveva 46 mila chilometri d’età, e mentre il
bali borbottava nel traffico e Sandro piangeva, mentre pioveva; e mentre
piangeva e pioveva e il bali borbottava Sandro si chiedeva il perché provasse tutto
questo dolore? Cosa ci fosse di sbagliato in lui? E così pensando aveva smesso
di mangiare, era dimagrito 40 chili, era diventato uno sportivo, aveva
rinnovato lo stile, il look,tutto ciò sotto gli occhi di Silvio e Nicola
increduli. Si era ripresentato otto mesi dopo alla spezza cuori ineducata di
prima, durante una festa in campagna: l’idea era di ottenere una piccola rivincita,
invece la tipa se lo era rigirato come un calzino, perché diciamolo che le
donne fanno dei tipi come Sandro, i creduloni/illusi, quello che vogliono. Si
erano appartati, e lui la desiderava talmente tanto che sentiva due forze di
gravità, la prima dall’alto verso il basso, la seconda da lui verso lei. Altro
che la mela di Newton! “questa sera è veramente speciale” e mentre lei lo
fissava con i suoi grandi occhioni azzurri. E Sandro pensava “è fatta raga!”
calcolava tutto, strategie napoleoniche, accerchiamenti di seni e vie d’uscita
quagliesche.
“è tutta la serata che voglio dirtelo Sandro … ho conosciuto
un tipo e ci sto insieme da qualche settimana … credo sia l’uomo giusto” e li
la vita del nostro protagonista cambiò di colpo. Si alzò e fu compostamente ma
inevitabilmente “porco dio”. La sua prima bestemmia. Parto cesareo dell’assenza
di dio.
E mentre andava via era felice; mentre andava via era
triste. L’importante comunque era andare via in quel momento. Le costellazioni
gli sorridevano o magari lo prendevano per il culo, ma va bene così. E Silvio
rise fino alle lacrime di quella storia e Nicola apostrofò la serata con un
aulico “mi fa male il cazzo andiamo raga”. Petrarca non avrebbe saputo dirlo
meglio.
Sandro era un sognatore. Aveva fatto del suo sogno la sua
vita: la ricerca. Ma sapete i sogni son molto diversi quando si avverano
principalmente perché i sogni non si avverano mai, ci si va vicino come quando
a bocce sfiori il boccino, ma non puoi fondere boccino e boccia in un'unica perfetta
sfera, è impossibile. Stessa cosa vale per i sogni: ci si può avvicinare ma non
sono mai come quando li pensi fissando il cielo sospirando. Realizzare un sogno
spesso comporta molte rinunce e Sandro ne aveva fatte tante di rinunce per
realizzarlo. Era emigrato in Francia, si era lasciato tutto alle spalle. E la
verità era che non ne valeva la pena, ma aveva più orgoglio nelle vene che
globuli rossi e questo non l’avrebbe mai ammesso. Pensate a Cristoforo Colombo:
aveva il suo sogno di andare per mare verso le indie, lo realizzò dedicandogli
tutta la vita, e mentre lo faceva a Genova gli ciullavano la moglie magari.
Karma alcuni direbbero? Troia direi io.
Perché Sandro era su quel treno non era mica un mistero.
Stava tornando verso la città dove si era laureato per la festa di laurea del
suo caro amico Silvio che era riuscito a concludere gli studi dopo 7 anni, 3
dei quali passati in un limbo di tesi più simile all’inferno. Ma poco importava
adesso, di tutta la fatica, degli eventi assurdi degli ultimi anni, erano stati
shakerati in una specie di lavabiancheria cosmico, dove il sapone era la sfiga.
Ma va bene così, adeso era tempo di festeggiare. Cosa che richiedeva tutte le
energie a disposizione oltre che un’organizzazione minuziosa. L’idea era di
passare a prendere Nicola a Milano. E scender giù a raccattare gli altri due
membri del gruppo per riunirsi con Silvio e celebrare e bere e “come se non
esiste un domani” anche se domani comunque poi alla fine esiste.
Alla fine riuscì a trovare un posto per sedersi ed
ovviamente
“ma tu che ne pensi di kylie minogue?” gli chiese un tipo.
“beh è veramente molto bella” rispose diplomaticamente Sandro
“si dice abbia uno dei fondoschiena più belli del mondo” e mentre lo diceva era
scientifico e neutrale, distaccato e chirurgico nella precisione lessicale.
“e certo” intervenne una tipa seduta di fronte a loro “perché
se non hai il culo bello in questa società maschilista non vali un cazzo! Che
serve studiare? Bla bla Società Sessista
bla bla Donna oggetto bla bla” e mentre tutto ciò accadeva sul
palcoscenico che è la sua vita, per la serie <<oggi in programma un
frullato di rotture di coglioni dodicesima replica>>, Sandro non poteva
crederci “ho un dottorato ma devo esser giudicata per il mio culo no?” e così
dicendo Sandro alzò la mano per interromperla
“è … kylie … minogue” lentamente, scandendo, assaporandone
le parole.
“e che vuol dire bla
bla le veline bla bla favori
sessuali” STOP. Di nuovo mano alzata e sguardo di Sandro deciso, irremovibile, come
l’ultimo dei mohicani dinanzi alla morte certa
“stiamo parlando di … kylie … minogue” e aggiungendo “capisce
che … kylie minogue ha fondato la sua intera esistenza sull’immagine e sul suo
fondoschiena? Lei è laureata in non so che e kylie minogue è laureata in culo!
OK?” e così dicendo Sandro si alzò di scatto guardo il soffitto del treno, e lo
sguardo laser superò le lamiere del treno, il traforo del frejus, le alpi, le
nuvole, lo spazio siderale e maledisse tutto il creato per la sua sfortuna
negli incontri ferroviari.
Il resto del viaggio fu gusto lavanda.
Frammento di futuro n°1
Sedevano su tre
sedie semidistrutte: due in legno e ferro da arredamento scolastico di cui una
probabilmente di un asilo considerata l’altezza; la terza invece era la
classica sedia da giardino a fasce di plastica di colori vari, anch’essa
decadente e decaduta, aveva di certo visto tempi e giardini migliori.
La brace dal barbecue oramai morente ogni tanto crepitava
ancora; la bambola “baby mia” trovata in un cassonetto, seviziata e
giustiziata, era mezza sciolta oramai ed un bulbo intatto spuntava dalla
plastica bruciata ed un puzzo di raffineria si levava dai resti in
decomposizione.
Da dentro la casa c’era ancora un vociare che si levava in
quella notte di Dicembre: era una notte importante per molti, molto importante
per tre, importantissima per uno in particolare.
E loro tre eran la, un po’ come sempre, ma un po’ come non
mai: Nicola guardava in terra con i gomiti sulle ginocchia a reggersi il capo,
ogni tanto alzava lo sguardo e poi lo riabbassava di nuovo. E pensava a Lucia e
ai danni che faceva il suo cazzo. Non l’amava. A volte è veramente difficile
trovare una scusa per non amare qualcuno, ma Nicola era bravo in questo. Sandro
col corpo tutto indietro, le mani gelate in tasca, fissava il cielo senza poter
scorgere una stella, ma tanto sapeva che eran la. Ci son cose che sai che
esistono anche se non le vedi, ci son cose che son belle anche dopo averle viste
una volta sola e poi mai più. Ci son cose che son belle anche se fissate dentro
un ricordo che magari è pure tutto sbagliato, perché si era sbronzi quella
volta, perché si era troppo piccoli o solo perché una cosa a volte la si vuole
ricordare in una certa maniera a prescindere da tutto e tutti. Sandro già
sapeva che quel momento sarebbe stato bello, dopotutto era il più sensibile o
meglio “frocio” come avevano emesso da tempo gli altri due e non ci potevi far
nulla: la loro era l’ultima vera democrazia della terra.
“Ohi frocio che pensi?” disse Silvio dopo un sorso del 67 esimo
bicchiere di vino della serata “non ti metterai mica a piangere eh? Per favore
già non scopi normalmente! Quante volte te lo devo dire che l’uomo sensibile
scopa solo se alternato a quello stronzo!?” e giù a ridere e giù a tossire.
“toh parla già come un dirigente d’azienda!” disse Nicola
senza cambiar posizione, sembrava una sfinge su di un cesso “ti voglio proprio
vedere coglione a fare qualche discorso motivazionale sull’emancipazione
femminile nella tua azienda e dopo mezzora far colloqui a qualche bella
stagista inginocchiata sotto il tavolo! MA SMETTILA VA! In galera crescerai
(cit. 3° livello)!!” e mentre abbassava lo sguardo come aspettasse qualcuno da
sottoterra, magari dalla Cina.
“Mi sono infrocito ancora di più da quando vi conosco” disse
Sandro rimettendosi col corpo in avanti “qualcuno deve pur averci un minimo di sensibilità
in mezzo a voi tre ergastolani del cazzo”
“ma nel senso che abbiamo il cazzo a regime di carcere duro?
Oppure …” disse Silvio senza neanche finire la frase.
“Vabbè visto che sono il più frocio inizio io” e così
dicendo Sandro si alzò e si diresse verso il barbecue. Mise il dito in una
parte constatata a temperatura ambiente e si disegnò due strisce nere di
carbone sotto gli occhi.
“son frocio indiano d’America ora” disse ridendo
“due minoranza si annullano a vicenda non potete
discriminarmi” e si sedette pesantemente.
“se c’era ancora luiii dormivamo con le porte aperte e tu
saresti stato un tester di marche di olio di ricino” e mentre Silvio riempiva
il 68 esimo bicchiere.
“ma chissà quanto spendevano di riscaldamento a quel tempo?!
Stavano sempre con queste minchia di porte aperte” disse Nicola anch’egli
rialzandosi.
L’idea era di raccontare una storia ciascuno per concludere
la serata e probabilmente uno dei loro ultimi incontri per chissà quanto tempo.
Qualcosa che avesse significato. Dopo tutto quello che era successo in quei
giorni, il tempo finalmente era rallentato e si era fermato in quell’istante lungo
che era adesso. Per farlo rallentare si eran fatti più che male in questi anni,
la maggior parte erano ferite invisibili, la maggior parte erano ferite nell’orgoglio
che ho sempre immaginato come una striscia durissima di cuoio che però si segna
facilmente anche se non si taglia altrettanto agevolmente.
“allora” disse Sandro schiarendosi la voce “mio zio Luigi
vendeva enciclopedie porta a porta quando ancora qualcuno comprava le
enciclopedie porta a porta o meglio quando ancora qualcuno comprava le
enciclopedie per chissà quale motivo credo probabilmente ornamentale … Ed era
molto bravo in quello che faceva … molto estroverso di natura … riusciva sempre
a concludere qualche contratto e ci riusciva con persone di diverso ceto
sociale … mi raccontava sempre che la cosa importante era trovare la chiave di
volta che faceva scattare nelle persone la voglia di comprare questa cazzo di
enciclopedia … a volte la si metteva sull’ironia … a volte qualche lusinga … il
segreto era osservare … quasi come uno Sherlock Holmes osservava i più piccoli
dettagli della scena di un crimine … mio zio invece guardava dettagli per
trovare qualche appiglio da sfruttare per vendergli … ste cazzo di enciclopedie
… beh tagliando corto … le cose andavano di merda in quella filiale di quella
società di enciclopedie in quella mia stracazzo di città dimenticata da cristo
che ricordiamo esser rimasto bloccato ad Eboli da uno sciopero di Trenitalia … piglia
un giorno che ti va a succedere? Il capo di mio zio si fotte tutto il fondo
cassa e scompare … la filiale fallisce e lui finisce in mezzo ad una strada con
una moglie e una figlia da mantenere … aveva lavorato in giacca cravatta e
sorriso forzato per 4 anni macinando chilometri su quella uno bianca mezza arrugginita
dalla salsedine perché la usavamo per metterci la barca quando andavamo a
pescare e non avevamo manco i soldi per un rimorchio quindi la mettevamo sul
porta pacchi sopra e insomma … vabbé l’acqua salata aveva corroso parte della
vernice … insomma ora mio zio era di nuovo per strada … disoccupato … beh ci
son momenti nella vita che veramente vorresti prendere una scala a pioli …
piantarla per terra salire due dieci fanta miliardi di scalini arrivare in
cielo guardare dio in faccia metterti il paradenti da pugile e dire <<ti
spiezzo in due>> … ma rabbia a prescindere non sapeva veramente cosa fare
… andò per un periodo da mio padre a Milano per vedere se trovava lavoro … ma gli mancava la famiglia e la sua terra …
non è che piglia a 45 anni fai le valigie e parti … la vecchia generazione non
sono mica come noi che non sappiamo quale cazzo è casa nostra e ce l’abbiamo un
po’ dappertutto … fatto sta che una amico di amici gli propose di fare il
muratore … dopo anni di giacca e cravatta mio zio che comunque tiene le palle
come i satelliti di giove prende e si mette a fare il muratore … appalto dopo
appalto … palazzo dopo palazzo lo vedevo sempre più consumato e stanco e
depresso … una volta la ditta per cui lavorava vince un appalto a Rimini per
costruire delle palazzine … e mio zio Luigi si ritrova a Rimini a centro di
Dicembre … tutta innevata … senza ragazze in bikini ne ritmi latino americani
del cazzo o disco dance in culo a soreta … e mentre sta li in alto sull’impalcatura
… vede tutta sta neve … sente un freddo bastardo … si fa schifo e gli fa schifo
tutto … piantando un bullone dietro l’altro con una mazza … sbaglia … e si da
un colpo sul pollice della mano sinistra … il colpo è bello forte … un dolore
come di un miliardo di volte quando ti si addormenta una gamba o un braccio …
si toglie lentamente il guanto e mentre suda e mentre scende la cazzo di neve
nella cazzo di Rimini di quel cazzo di Dicembre … e non c’è una in bikini manco
a pagarla oro ne un suono latino americano nell’aeree Maracaibo mare forza nove
… solo neve e un botto di dolore al pollice della mano sinistra … si toglie il
guanto e il dito e tutto sfasciato … l’unghia spaccata gli cade in un attimo …
vede il sangue … prende il dito e lo mette dentro la neve che aveva li accanto …
ammonticchiata sull’impalcatura … e vede il rosso del sangue colorarla
lentamente … un po’ piange … un po’ fa di no con la testa … e pensa a lui alla
giacca e alla cravatta e alle enciclopedie che poi era stata la cosa più
intellettuale che aveva fatto nella vita … cristo … vendeva conoscenza per dio …
e poi si vede li come un coglione accovacciato col pollice sfasciato dentro la
deve mentre questa diventa una granita di sangue … dopotutto lui è siciliano e
noi si sa siam bravi a fare la granita … insomma fatto sta che sta li … e a
quel punto decide … <<vaffanculo>> si vaffanculo … scende dall’impalcatura
<<ehi Luigi dove vai?>> va verso la baracca del capo cantiere … e
mentre dal dito gli scende il sangue e lascia per terra una scia sulla neve …
che io voglio credere sia indelebile … cioè cristo lui passa di la e ci lascia
un po’ di se … e chiunque passa da li può dire che Luigi è passato di la e
mandava a fare in culo tutto in quel momento … come le cazzo di targhe dei
martiri o quelle che mettono nelle case dei poeti o dei filosofi o degli
scrittori che pur non avendo un cazzo in comune con mio zio Luigi io comunque
li metto sullo stesso piano … insomma va dal capo cantiere e si licenzia … va
in quella pensione di merda dove stavano prende la roba … si fascia il dito
alla meno peggio … non va manco all’ospedale … vaffanculo Rimini d’inverno … la sua totale assenza di bikini e di musica
dance o latino americana di questa gran minchia … prende l’aereo e se ne torna
in Sicilia … si fa i suoi bei mesi di disoccupazione rifiutandosi di lavorare
come un negro in nero da muratore … e NON PERCHE’ NON HA LE PALLE PER FARLO … O
PER ORGOGLIO … o per qualsiasi altra ragione … ma perché nella vita che poi è
una sola per cristonostrosignoreamen … devi fare qualcosa che ti dia qualcosa
di più di qualche soldo … perché è più facile
portare la pagnotta a casa che esser felici davvero … perché il lavoro nobilita
l’uomo se l’uomo fa un lavoro che lo nobilita davvero … se fa qualcosa in cui
crede e che porcoddio lo arricchisce un minimo … ci son persone che quando
vedono il palazzo costruito son fiere di se stesse e mio zio era felice quando
vendeva le cazzo di enciclopedie in giacca e cravatta … insomma ragazzi …
insomma … “ pausa lunga non voluta ma comunque che fa molto teatro “insomma … a
volte per capire cosa è la felicità … ti devi prendere un colpo di mazza
sul pollice”.
L’eremita
Sandro scese dal treno come un marinaio scende da una nave:
stanco e arrugginito. Stanco del viaggio e delle rotture di coglioni e
arrugginito nei rapporti con gli italiani, che diciamolo pure con franchezza,
son un popolo tutto a se stante.
All’italiano medio non gli devi perturbare la tranquillità,
la routine con la quale si rilassa o si diverte; l’italiano è anti-illuminista,
ma solo per noia, anti-anticlericale, ma solo per noia,
anti-fascista/comunista, ma solo per noia; non è contro il progresso o il
cambiamento, è solo una questione di conservazione dell’energia meccanica, che
poi nel caso particolare è tutta potenziale. L’italiano riesce a trovare una
situazione di minimo di energia anche sul cazzo di cocuzzolo dell’Everest,
basta che non lo tocchi o non lo perturbi egli vivrà sereno anche in quella
scomoda posizione. Da li forse quel malinteso sulla grande capacità di
adattarsi, persone spicciole che non si fanno problemi. Cazzate. L’italiano
vuole solo statica quiete, tepore, un lavoro dall’altra parte della strada,
anche mal retribuito, basta che sia a tempo indeterminato. Poi farà il suo bel
mutuetto da 1457 milioni di rate, si troverà una donna o viceversa un uomo che
ispira sicurezza economica et voilà; insomma la favola di Adamo ed Eva di Max
Gazzé avete presente? No? Beh andatevela a cercare.
“Frocio arrivasti finalmente” e Nicola era la esattamente
davanti alla porta della sua carrozza. Il freddo era stordente in quella Milano
buia, nuvolosa e pallida come le sue lampade al sodio, chiassosa come le sue
auto, infinite come i globuli rossi nelle strade che son vene ed arterie di una
città senza fine.
“Nicola ti trovo bene” e così dicendo si diedero due belle
pacche sulle spalle “e sta barba? Madò quanto te la sei fatta allungare sembri
Garibaldi” e mentre si avviavano all’uscita districandosi tra il fiume di
persone che affollava la stazione. Era tardi e adesso la stazione si popolava
dei suoi abitanti notturni, che cercavano un rifugio dal freddo di Dicembre.
“Si la barba ci sta dai … è il periodo un po’ punkabbestia
ma solo perché ho conosciuto una da centro sociali … “ disse passandosi le dita
sul volto “cioè che sia chiaro a me quella gente fa schifo lo sai … ma lei …
puttana eva che tipa …” e mentre potevi leggere nei suoi occhi quanto sta tipa
gli piacesse.
“Ma non ti sarai mica innamorato?” disse Sandro d’un fiato.
“Ma vaffanculo va!” e giù risate.
Nicola aveva 23 anni ed era il più giovane del trio.
Anch’egli sardo come Silvio. Figlio di macellai di un piccolo paese che non
contava un cazzo e che non era mai stato investito dalla storia, ma meglio così
no? Si perché se nasci a Roma o a Torino o a Napoli le persone tendono sempre ad
inquadrarti su di uno schema già disegnato, stile unisci i puntini. Hai
comunque una genealogia territoriale da rispettare. Susciti sempre attese negli
altri, che ardono di analizzare i tuoi comportamenti. Le persone desiderano rivedere
il romano, il torinese o il napoletano esattamente come ce l’hanno in testa,
secondo stereotipi che funzionano, in questo caso, veramente bene. Ma Nicola
era nato in un posto che sul 70% delle mappe non è neanche segnalato: per
comprendere meglio, un’estate di qualche anno fa Sandro era andato a trovarlo a
Nicola ed ovviamente si era perso tra le strade di montagna tutte uguali, con
il cellulare che al centro della <<più Sardegna di così si muore>>
non prendeva manco una tacca, notando anche che si scaricava più velocemente
come debilitato da un flusso anti-tecnologico sardo; allora disperato, chiedendo
indicazioni a dei ragazzi che bevevano birra in un localino per strada (alle
9.30 del mattino!?) ottenne un incoraggiante “perché vorresti andarci?”. Perché
non c’era nessun motivo per andar li! Un muro spazio temporale separava quel
luogo dalla realtà.
Nicola di conseguenza, non avendo neanche un accento sardo
marcato, era libero di essere, comportarsi, impersonare chi cazzo volesse. Questa
libertà la sentivi subito conoscendolo, frequentandolo. Surfava abilmente tra
le classi sociali: una sera in discoteca con i fighetti e le figlie di papà, la
sera dopo a giocare in qualche gioco di ruolo come il migliore dei nerd e poi
mostre, centri sociali, corsi di pasticceria, concerti metal o rock o una serata
jazz, avrebbe fatto anche del volontariato in ospedale stile Patch Adams se
questo l’avesse portato al fine ultimo dell’esistenza umano ossia SCOPARE.
Ok ok ok,
obiezione vostro onore,
il narratore sta cercando di far partire prevenuti i
lettori!
Mettiamo tutto in un contesto: Nicola era un bravissimo
ragazzo, timido, riservato, introverso. Con pochi amici sfigati di quelli che
non beccano una donna manco a cambiar sesso e ad andare in un bar lesbo per
donne disperate. Poi una notte di imprecisati anni fa, una di quelle notti dove
può cambiare tutto, tutto cambiò: tornando da un inutile giro con gli amici di paese
più sbronzi del solito o con l’asfalto meno aderente del solito o con l’asfalto
sbronzo e gli amici poco aderenti, riuscirono nell’impresa di cappottare con
l’auto manco fossero i protagonisti di Hazard: quando il povero Nicola riprese
i sensi nell’auto cappottata, con una frattura scomposta al braccio destro e la
bocca piena di terra e sangue (e considerando che quello era un pascolo di
mucche anche probabilmente merda) e pensò trascinandosi fuori e tirandosi
appresso l’amico accanto mezzo morto, una cosa molto importante,
“cazzo potevo morire vergine”
Questo spiega perfettamente il
profondo cambiamento che subì la psiche di Nicola dopo quell’incidente. Appena
tornato dall’ospedale si dedicò anima e corpo nel trombare il più possibile,
vista la manifesta transitorietà della vita terrena.
La
cosa veramente sorprendete in Nicola era la scientificità assoluta dei suoi
gesti, dei suoi comportamenti, dei suoi discorsi e come questi mutavano, si
auto limavano, cambiavano punto di vista o punto di partenza a seconda della
donna che aveva di fronte. Il nostro Nicola manco fosse Heinsemberg (il fisico
non il tipo della serie TV!) imbastiva delle equazioni dal risultato molto
spesso vicinissimo alle previsioni iniziali; era una specie di eletto alla
matrix ma con il pantalone che riusciva a abbassarsi ad una velocità
paragonabile a quella di un proiettile di una pistola. Il suo modo pragmatico
di analizzare una donna dai dati che aveva a disposizione, ossia contesto,
vestiario, atteggiamento e al massimo qualche sentito dire da amici comuni,
aveva del sorprendente. Il limite era uno solo: non ci sono limiti! I limiti
sono solo quelli che ci poniamo noi stessi. Incredibile come questo ragazzo
invece di dar vita ad un movimento religioso avesse scelto di sfruttare tanta
sapienza per immergersi nel sesso di una donna. Ma facciamo un esempio pratico:
Poniamo che l’obbiettivo sia una ragazza
punk da centro sociale, il diagramma di flusso parte da due macroaree, ossia
politica e musica e così prosegue
Start à discorso di sinistra à
lamentarsi dello stato a prescindere da chi è al governo oppure citare Marx o Gramsci
relativamente alla modernità del loro messaggio e poi concludere con qualche
citazione musicale di Guccini, De Gregori, De André e stoccata finale con i 99
Posse.
“Ti
andrebbe di vedere quella mostra di carri armati dismessi russi trasformati in
opere d’arte moderna?” a questo punto di solito Nicola sta facendo la conta
delle otturazioni della tipa in questione mentre a Stoccolma già decidono per
il suo Nobel.
Se
Nicola avesse messo tutta questa sapienza nei suoi studi sarebbe già un
professionista affermato. L’unico paragone possibile è proprio con un Silvio
Berlusconi: se B. avesse messo tutto il suo genio imprenditoriale per il bene e
lo sviluppo economico e culturale del paese sarebbe stato di certo il più
grande statista della storia, ma a questo ha sempre preferito sbronze di potere
liquido; analogamente Nicola ha sempre preferito spogliare belle donne con il
suo acume e la sua perspicacia, ognuno fa le scelte che vuole no?
Ma
torniamo a Sandro e Nicola. Dopo aver attraversato mezza Milano in
metropolitana giunsero alla catapecchia dove Nicola viveva insieme ad altri 2
poco precisati ragazzi. Sandro aveva abbandonato da poco la vita universitaria
per quella lavorativa, ma la tazza del cesso di una casa di universitari uomini
è sempre uno spettacolo difficile da dimenticare. Si potrebbe stare ad
ammirarla per ore: secoli di evoluzione buttati dalla finestra (perché nel
cesso proprio non ci si posson buttare questa volta) per tornare in bocca al
vaiolo o forse alla peste bubbonica.
Dopo
una cena più che studentesca a base di piadine riempite con cose a caso (principalmente
cose appena scadute) i nostri due protagonisti si misero a chiacchierare del
più e del sesso.
“Quindi sta tipa da centro sociale
chi sarebbe? Ma non è che ti ho scassato la minchia a star qui stanotte?” disse
Sandro sorseggiando della coca cola priva di molecole di gas.
“Ma che dici frocio … non ti
preoccupare … comunque non è nessuno … è una che mi piace … ma bo …” e mentre
Nicola guardava il soffitto cercando di imbastire una via di fuga dalle
classiche domande di Sandro.
“Tranquillo Nicola stavolta non ti chiedo
niente di più … ad Antonio l’hai già sentito?” dove Antonio era un amico dei
nostri tre protagonisti che dopo una grande crisi mistica/di nervi era finito
in una casa di cura proprio a Milano e che domani avrebbero rivisto e avrebbero
tentato di portare alla festa di Silvio.
“L’ho sentito qualche settimana fa …
ma non ci sta con la testa Sandro … io lascerei stare … non ci sta proprio con
la testa … straparla … cazzo mi mette na tristezza a pensare che era un ragazzo
tanto sveglio e capace …” e un po’ imbronciato si alzò per versarsi altra coca
cola.
“Capita un intoppo nella vita Nicò”
“Si Sandro ma a lui gli si è
intoppata la vena della realtà … vabbé noi abbiam battuto la fiacca per anni
mentre Antonio sgobbava all’università e la sera lavorava per mantenersi … però
cristo … poi succede na cosa del genere e ti passa la voglia … di tutto … non
so se ho il coraggio di vederlo …”
“E’ solo un po’ esaurito … siamo ottimisti
cazzo … domani andiamo a trovarlo e secondo me ci toglieremo tutte ste paure e
troveremo il classico Antonio di sempre … magari finalmente meno di corsa e più
rilassato” e così dicendo Sandro finì d’un sorso la sempre più degasata coca
cola “E Lucia?” pausa di silenzio, lentamente Nicola alzò gli occhi e “Lucia
cosa Sandro?”
“Lucia l’hai sentita?” avendo già
capito di aver toccato il tasto dolente di sempre
“No … non l’ho sentita … ma meglio
così guarda”.
Lucia era la donna che si era
perdutamente innamorata di Nicola e di cui Sandro era stato sempre perdutamente
innamorato, vista così la situazione può sembrare complicata, ma il risultato è
molto ovvio: Lucia provò di tutto per portare Nicola dentro la sua vita,
compreso andare a letto con Sandro (e poi anche Silvio ma questo non lo sa
nessuno) per farlo ingelosire. E Nicola niente. Proprio perché sapeva benissimo
che Lucia era la classica donna di cui ti innamoravi in un attimo. E lui non
voleva amare nessuno, l’amore ti mette vincoli, come quando Gulliver veniva
imprigionato dai lillipuziani e imbalsamato come un salame da migliaia di
piccole corde beh l’amore ti mette migliaia di piccoli vincoli uno dietro
l’altro, così piccoli che non te ne accorgi all’inizio e poi insomma, sei
fregato, sei cambiato, sei diverso, meno libero alcuni direbbero e questo
periodo è veramente e pesantemente troppo lungo ma dopotutto l’amore non è una
cosa che ti lascia senza respiro e Sandro li ricorda bene gli occhi di Lucia
quando gli aveva chiesto di Nicola e quegli occhi stavano sullo Zanichelli alla
parola amore ed ora lei stava in una comune di fricchettoni a Bologna e non ne
avevan saputo più nulla di lei per tutto l’ultimo anno.
“Sei ancora convinto di voler
passare a prendere anche lei? Vedi che non ce n’è problemi considerando anche
che non si è fatta più sentire …”
“No … no ci andiamo … non ti preoccupare … il tempo cura tutte le
ferite” e questo sappiamo tutti che è una cazzata. Perché il tempo cura le
ferite di quelli che voglion guarire, ma quelli che adorano la vista del
proprio sangue, grazie proprio al tempo perdono solo la ragione.
A cena finita si stesero sui letti
in camera da Nicola: letti è un eufemismo, perché semplicemente Nicola gli
aveva ceduto il suo e lui stava dormendo con un materasso in terra. Faceva un
freddo incredibile soprattutto considerando fosse inverno e quella casa non
avesse riscaldamenti. Appartamento senza contratto di un palazzo di studenti
sgarrupato, ma che ve ne parlo a fare? A volte esser studente ti da il senso
del limite che il tuo fisico può raggiungere. Vita da favelas.
Nel buio della stanza con un milione
di coperte di diverso colore e dimensione la voce di Nicola ruppe il
silenzio:”Mi dispiace che Lucia non ti ami”
Silenzio
“A me quasi dispiace che non la ami
tu”
“Che risposta del cazzo Sà”
“Mi sa che proprio del cazzo sta
risposta non viene fidati”.
L’indomani sveglia presto, valigia
di Nicola fatta in 13 secondi con l’unica roba non sporca buttata dentro uno
zaino, ma selezione accurata di braccialetti e del profumo; perché come dice
sempre Nicola: “il primo impatto sta a livello dei feromoni caro mio! Ed è
meglio che quelli miei da perdente non vengano individuati e allora li copro
con cento euro di profumo accuratamente scelto!” La figa è scienza.
Salutati i coinquilini con un “oh ci
si” quasi come se l’eventuale ritorno fosse sottomesso agli eventi dei prossimi
giorni. I nostri due protagonisti si diressero verso la dimora del povero
Antonio per vedere se fosse possibile coinvolgerlo in questa impresa degna
dell’armata Brancaleone.
Antonio era stato ricoverato presso
<<Villa Azzurra>> classico nome di una classica casa di cura
privata immersa in un piccolo giardino classico. L’unico cosa dissonante era il
colore della villa che si orientava più su di un verde.
“ma perché l’hanno chiamata villa
azzurra se è verde” disse Nicola
“Ma che ti frega!? Abbiamo altro a
cui pensare”
“No ma sta cosa proprio mi
infastidisce glielo devo chiedere se c’è l’occasione”
“Ma non facciamo figure di merda che
non abbiamo manco l’autorizzazione dei genitori per portarlo con noi”
“Provo a resistere ma devo saperlo!”
Entrati in ampio ingresso stile
palazzo signorile settecentesco sulla destra si trovava la guardiola del
custode/accoglienza/luogo di gossip e chiacchericcio vario. Il custode era pure
fin troppo classico, col cappello di pelle marrone, i baffi, giocava a
solitario con le carte mentre una TV in bianco e nero trasmetteva un film di
totò (probabilmente non era in bianco e nero la TV ma solo il film ma il tutto
si intonava perfettamente al momento) quello dove lui è un pittore che dipinge
il famoso quadro della maya desnuda ma la fa con la camicia per dire che era un
inedito e spacciarlo come autentico ritrovato, geniale.
“Mi scusi buongiorno” disse Sandro
“Noi saremmo venuti a trovare il signor Antonio D’Arnaldo”
“Ma voi siete pareeenti?” con un
accento napoletano che rese il tutto oltre il classicismo, quasi fosse una
candid camera.
“No siamo dei cari amici”
“Ah … no lo chiedo non per farmi i
cazzi vostri … ma perché abbiamo delle regole … ma non vi preoccupate mo ci
mett na buona parola ie con la caposala e vediamo di arrangiare questo incontro
… non per vantarmi ma sulla caposala ho un buon ascendente diciamo … siete
stati fortunati a trovare a me in guardiooola e non all’altro scimunit …
comunque torno subito” e così dicendo mise il cartellino torno subito nel vetro
della guardiola che rese il livello di classicismo della situazione quasi
insopportabile. L’animo e la vivacità del custode la diceva lunga sul fatto che
in questo posto non accadeva mai un cazzo. Quindi la visita di questi due
sconosciuti colorava la giornata in bianco e nero, come quello del film di totò
che proprio in quel momento mostrava il quadro della maya en camicia, geniale
ancora una volta.
Il custode tornò dopo qualche minuto
accompagnato da una grassa suora vestita di bianco che sembrava una cometa sia
per le dimensioni che per la dose di bianco tessuto che necessitava per coprire
le sue cattoliche ed opulente vergogne.
“Voi signori sareste amici del
signor D’Arnaldo giusto?” disse squadrandoci.
“Si sorella” disse Sandro con tutto
il rispetto che poteva mostrare, <<ci deve tener proprio tanto>>
pensò Nicola fissandolo, non che a Nicola non importasse, ma quel posto li e
quel dubbio sul color verde del palazzo rispetto al nome villa Azzurra lo
mettevano a disagio e poi … e poi c’era Antonio che era un grande punto
interrogativo.
“Ascoltate il signor D’Arnaldo è qui
da più di un anno e mezzo e ha fatto grandi miglioramenti … non ha più le crisi
di panico che aveva all’inizio … ma non voglio che riceva troppa pressione … “
disse in maniera chiara la caposala/suora.
“Guardi noi vorremmo solo vedere
come sta tutto qui siamo suoi amici dell’università ed una volta vivevamo tutti
insieme e a quando è andato via abbiamo ricevuto poche notizie dai suoi
genitori quindi … quindi niente vorremmo vederlo” in quel momento Sandro aveva
già realizzato che non sarebbero riusciti a portarlo alla festa di Silvio, ma
la curiosità di vedere il loro vecchio amico adesso era grande. Nicola guardava
Sandro con un volto del tipo <<te l’avevo detto>> e Sandro annuiva
e ammetteva che era stato troppo ottimista.
“Bene seguitemi sta nella sala
comune in questo momento” e il trio si congedò dal guardiano che tornò
fischiettando <<ohi vita ohi vita mia>> in guardiola concedendo un
altro picco di classicismo a questa storia.
“Mi scusi sorella” chiese Nicola “ma
come mai questo posto si chiama villa azzurra mentre la palazzina è tutta
verde?”
La sorella si voltò sorridendo “Guardi
non è da molto che lavoro qui mi dispiace era già verde quando sono arrivata io”
“ah la ringrazio” disse Nicola
mentre Sandro lo guardava incazzato
“eh oh ciò sto dubbio Sà mannaggia alla
mad …” e Sandro bloccò la blasfemia di Nicola con un calcio in culo.
“eccolo è seduto li su quei divani
vicino al finestrone … lasciate che vi introduca” e così dicendo entrarono in
una sala enorme quanto il terminal di un aeroporto. Pieno di sedie, tavoli e
divani tutti diversi in colori e forme. Giocattoli, lavagne per colorare,
giochi da tavolo sparsi dappertutto, carte, bicchieri di plastica. Il posto era
pulito ma si vedeva chiaramente che era anche molto frequentato. Qui e la
qualche persona seduta in silenzio. Un tipo in un angolo ripeteva le tabelline
cantandole ma arrivato a sette per sette si bloccava e ricominciava da quella
dell’uno.
“Antonio … ci stanno dei tuoi amici
che son venuti a trovarti … amici dell’università … va bene ti va di vederli?”
e li seduto in vestaglia di seta, foulard e bicchiere da champagne in mano
sebbene pieno di coca cola ci stava Antonio, magro come sempre, profumato come
sempre, sembrava che niente, neanche l’esaurimento nervoso l’avesse veramente
intaccato. Quello stronzo ottimista, come lo chiamava Silvio. Antonio sotto la
pioggia battente a portare le pizze per mantenersi all’università perché aveva
litigato con i genitori ricchissimi dato che non voleva fare il medico come il
padre bensì il filosofo, e allora contro tutto e tutti la filosofia l’aveva
studiata, l’aveva studiata tutta come voleva lui. E c’era rimasto. Beh non era
mica colpa della filosofia o della pizzeria se Antonio aveva dato di matto una
sera girando come un pazzo con lo scooter e tirando le pizze sui passanti della
strada chiusa al traffico e piena di negozi di lusso della città. Si dicesse
avesse preso in faccia anche la moglie del sindaco, perché <<se una cosa
la devi fare la devi fare bene>> aveva detto Silvio <<anche quando
dai di matto, il matto lo devi fare per bene cazzo!>> e Antonio era stato
da 110 e lode, come sempre.
Era arrivato a finire la tesi ma a
non era riuscito a discuterla quindi alla fine manco il titolo di dottore in
filosofia aveva preso. Avevano trovato la tesi stampata in camera sua e sul
computer acceso la pagina dei ringraziamenti con la stessa parola ripetuta migliaia
di volte:<<bora bora>>. Si il cervello gli era partito per sola
andata a bora bora, ma almeno aveva scelto un bel posto, un posto caldo,
soleggiato e pieno di tette. Allora i genitori l’avevan preso e rinchiuso a
villa Azzurra che poi era verde come già sottolineato.
“falli avvicinare mia cara e portaci
degli altri bicchieri ed il migliore dei Bordeaux della mia riserva personale”
disse senza neanche voltarsi.
“si va bene” e girandosi verso di
noi la suora “venite sedetevi e parlate un pochino” e andò via.
Il primo a sedersi fu Sandro proprio
di fronte ad Antonio, mentre Nicola stette in piedi per qualche minuto prima di
accomodarsi accanto a Sandro.
“Antonio …. Oh … so Sandro” e mentre
Antonio continuava a guardare fuori senza degnarli di nessuna attenzione.
“Antonio … mi riconosci?” e di colpo
“Son pazzo non sono mica scemo
Sandro” disse Antonio sorridendo ad entrambi, e dallo sguardo potevi subito
capire che non era quello di una volta. Negli occhi mancava quel sorriso che
potevi scorgere da chilometri di distanza. Antonio era una pila scarica di
quelle che spacciavano per ricaricabili ma se le ri-energizzavi ti duravano
solo cinque minuti. Le batterie gliele avevano cambiate ma il voltaggio era
quello sbagliato e ad Antonio di vivere non gliene fregava più un cazzo, anche
se nessuno aveva capito il perché, quale fosse la causa scatenante.
“Ah … ascolta come va come stai?”
“alla grande … qui si fanno un sacco
di conversazioni stimolanti … credo di finir la tesi presto … e discutere … poi
dottorato … ricercatore … associato … ordinario e poi ovviamente imperatore”
una carriera niente male per un matto.
“Ah … sai che Silvio si è laureato?
Stiamo andando io e Nicola alla sua festa … ti piacerebbe venire con noi?
Magari possiamo chiedere un permesso ai tuoi e qui ai dottori se dicono che si
può che dici?” e mentre Antonio continuava a fissare fuori.
“Chissà se ci sta ancora quella
bella ragazza al bar di fronti casa nostra” e fece una pausa bevendo coca cola “era
la figlia dei proprietari e stava ogni tanto alla cassa … occhi azzurri …
caschetto biondo … era proprio bella … glielo ho sempre voluto dire”
“Beh …” fece Sandro guardando Nicola
“boh non lo so magari potremmo scoprirlo insieme”
“No Sandro … adesso è troppo tardi
per scoprirlo … andava scoperto in quel momento … ci sono cose che se perdi l’attimo
… perdono anche il gusto … e non hai più diritto ad assaggiarle … scadono …
muffiscono … scadono … divengono amare” e sta volta li guardava negli occhi a
tutti e due con un sorriso un po’ cattivo stampato sul volto poc’anzi sereno.
“Non credi nelle seconde
possibilità?” fece Sandro pentendosi di aver intrapreso quel discorso
“E tu ci credi? A me non sembra ce
ne siano mai state”
“Vabbeh senti … ti va di venire con
noi?”
“Sarebbe bello sai?” aggiunse Nicola
prima parola detta da qualche minuto a questa parte.
“Si sarebbe bello ragazzi ma non so …
non me la sento” e tornò a guardare fuori
Mentre tornò la suora con una
bottiglia di coca cola e dei bicchieri meravigliosi da champagne in cristallo.
“Ecco finalmente servici da bere a
tutto spiano che godano anche i miei commensali e commilitoni d’un tempo!” e
per cinque minuti ci fu solo silenzio e bollicine e i nostri due protagonisti
non sapevano neanche perché fossero venuti.
“Passeggiamo un po’ nel parco?”
propose Antonio
“si certo se ti va …” fece Sandro
mentre Nicola sottovoce suggeriva di andar via tanto era tempo perso.
Passeggiarono nel parco per una ventina di minuti mentre Antonio descriveva la
vita li, come ordinata, pulita, una esistenza serena e priva di pressioni, però
ogni tanto gli porgeva delle domande particolari
“La fanno ancora quella pizza
farcita in quel locale di fronte alla stazione?”
“Ma poi i lavori al dipartimento di
Filosofia l’hanno finiti o pure no?”
“Ma Silvio si tromba ancora la tipa
dei vegetali e della frutta?”
“Ma le fate ancora quelle visite
notturne a quella radio universitaria pirata?”
Frammenti di una vita vissuta per
sentito dire. Antonio aveva dedicato al suo progetto da molti osteggiato, criticato,
tutta la sua energia privandosi di vivere il momento. Si era ripromesso che poi
la vita l’avrebbe vissuta in un secondo tempo, quando ci sarebbero state le
condizioni per farlo. Ma ironia della fottuta sorte tutto era andato a puttane
e la seconda famosa possibilità non si era neanche presentata. Poi gentilmente
li aveva accompagnati al cancello.
“Tornerete ancora a trovarmi?”
“Ma si Antonio certo che torniamo …
ma sei sicuro di non voler venire?”
E li Antonio fece una cosa
particolare, una lezione di quello che provava dentro ai suoi amici: provò a
sforzarsi a superare il limite del cancello e più si avvicinava ad esso più il
volto si segnava di dolore, di fatica. Qualche lacrima venne giù mentre Nicola
e Sandro rimasero stupiti dinanzi a quella scena.
“Sandro … Nicola … io non riesco a
venir fuori da qui … ho troppa paura di quello che mi aspetta … paura delle
scelte fatte … paura delle responsabilità non prese … paura delle aspettative
di tutto e tutti … ho paura di fallire … di ammettere che ho già fallito …
paura dell’amore … e del tempo che passa mentre tu ti consumi come un coglione
a portare le pizze sotto la cazzo di pioggia di una città che sembra mangiare
solo pizze … solo quelle che consegni tu sotto la cazzo di pioggia capite? Io
non posso uscire da qui … non voglio … non potrò mai rientrare nel flusso ora
che ho capito … che il flusso della vita … è una grande bugia … non si matura
mai si diventa solo anestetizzati … la gioia di un bel tramonto sfuma e si trasforma
nella composta euforia che l’acquisto di un nuovo mobile per la tua casa ti dà …
la pazzia di una corsa in moto con dietro avvinghiata la tua donna che ti
pianta i seni sulla schiena mentre urla nella notte … vengono sostituiti da uno
scatto d’anzianità sullo stipendio ed una pacca sulla spalla del tuo sempre
uguale datore di lavoro o direttore o che cazzo ne so io … sopra di te avrai
sempre qualcuno che ti vomita ordini … e tu l’ingoierai quel vomito per ri-vomitarlo
ancora più arricchito in veleno e bile a chi hai sotto di te … una catena
alimentare della solitudine e dell’alienazione è questa la vita che ci aspetta
ed io … non posso farci parte … mi dispiace per avervi deluso” e così dicendo
si voltò per tornare indietro verso l’ingresso della villa Azzurra.
“Antonio … “ urlò Nicola “ma perché
cazzo si chiama villa Azzurra se poi è tutta verde me lo sai dire?”
“Il padrone di questo posto era
daltonico e fottutamente testardo” disse sorridendo prima di entrare.
“Ah … ora va molto
meglio” disse Nicola sereno e così dicendo se ne andarono via.Frammento di futuro n°2
E mentre la brace si arrendeva con gli ultimi crepitii, i
nostri tre amici in questa comunione d’intenti che era l’ultima festa
continuavano a discorrer di ciò che muove il loro universo, o meglio di come
loro si muovevano in esso, statico scenario in legno compensato di un teatro di
provincia. Perché seppur è vero che siamo punti proiettati dal niente nel
nulla, è l’azione che ci incornicia, che attira lo sguardo lassù di quello
stronzo creatore (o creatrice), sadico e immutabile, direttore artistico di
questo grande cazzo di fratello che è la vita (che spero vivamente venga
sostituito da qualche replica di Sentieri, grande soap opera farcita di
mignotte di classe): siamo vettori portatori sani di esistenza, ci sommiamo,
sottraiamo e moltiplichiamo per chissà quali <<scalari>> di gioia o
tristezza, ma è il movimento che ci dà un senso, che ci rende per attimi
indefiniti come una stella cadente nel cielo di Agosto, un bagliore improvviso notato
per caso sul cielo stellato di una festa in spiaggia (mentre magari ai nostri
piedi ci sorride una tipa che si è appena immessa nell’autostrada corsia
preferenziale cazzo e ci invita a molte meno filosofiche elucubrazioni). Se non
emettessimo luce mentre viviamo, passeremmo tristemente inosservati, ecco
perché l’essere umano vibra e rotola su se stesso come api in un alveare,
confusamente, randomicamente, insensatamente. Siamo come stupidi gatti che
seguono il pallino rosso del puntino laser, oggetto del nostro desiderio,
obbiettivo della nostra esistenza. Però Sandro, Silvio e Nicola sono persone di
quelle persone che devono per forza dare un senso all’energie spese, che devono
analizzare i significati delle reazioni altrui, che devono sempre capire cosa
cazzo sta succedendo nel loro ritaglio di giornale di universo. E’ proprio per
questo che fino a quel momento avevano trascorso la loro vita a parlarne, della
vita intendo. Contenti loro.
Mentre Sandro pronunciava le ultime parole della sua storia,
Nicola lo guardava privo di alcuna espressione e Silvio se la rideva, con quel
suo sorriso pieno di sarcasmo, atteggiamento che oramai non riusciva ad
abbandonare da tempo, considerando che ogni avvenimento che affrontava poteva di
diritto finire nel cassonetto dell’<<ironia della sorte>>.
A storia terminata nessuno dei due commentò e Sandro ci
rimase un po’ sorpreso, vista la prestazione da lui appena offerta, storia
tenuta cara da tempo e riservata ad un’occasione speciale, come quel buon vino rosso
che aveva fregato anni prima ad un ristorante di cucina tipica italiana gestito
da dei cinesi dove lavorava come cameriere. Ricorda benissimo il suo commento
all’evento “E’ questa è la mia liquidazione”. Poi come i coglioni che sono
avevano aperto quella bottiglia di chianti degli anni sessanta al sapore di
polvere e catacomba per poi accorgersi che chiusa valeva buoni sei-settecento
euro. Ad averlo saputo prima, ossia ad avere un ipotalamo funzionante. Ma
vabbè.
“Non vi suscita nessuna sensazione? Qualche domanda?” disse
Sandro con un volto più che interrogativo.
“E che vuoi commentare? Non siamo mica ad una conferenza”
disse Silvio con la sua dose di strafottenza e cinismo arricchita da una dolce
cantilena nella sua voce dettata dal tasso alcolico ragguardevole.
“A me è piaciuta la storia” disse Nicola voltandosi verso
gli altri due. Era stato distratto dal casino che emanava la casa immersa nel
buio di quel giardino che sapeva di marcio e rosmarino. Si intravedeva Lucia da
una finestra sulla destra sbattuta contro una parete mentre un tipo amico di
amici la baciava con ardore e anche con qualche difficoltà considerando il
pancione. Nicola svuotò le pupille da quella immagine per evitare di attirare l’attenzione
del troppo sensibile Sandro. Era troppo facile capire le intenzioni di quella
donna. Ora era il suo turno di raccontare, e parlare di amore proprio dal suo
pulpito di <<senza cuore>> era ovviamente la scelta più mediocre e
giusta.
“avanti Nicola stupiscimi con la tua dolcezza” disse Silvio
ridendo e tirando sul la bottiglia di vino che aveva appena aperto “scongelami
l’anima e donale con un fiato vita nuova … sapete che l’anima pesa 21 grammi? …
l’ho letto su Cosmopolitan … Sandro quello è l’unico peso che riesci a perdere
quando stai con me no? La dieta dell’anima AHAHAHAH … 21 grammi … l’intera
architettura moderna della spiritualità dentro un fetido scorreggio … 21 grammi
… un slip sgommato di divino” e su la bottiglia ed il fondo come la lente di un
telescopio che scruta la luna o una bella madre di famiglia che si denuda
davanti ad una finestra aperta. Che è meglio della luna, a volte.
“Tu leggi Cosmopolitan?” disse Sandro ironico.
“Sei proprio un frocio fuori dal mondo Sà … tu non hai
capito un cazzo della vita … l’hai solo messa dietro il vetro di una cornice
come un attestato … insieme alla laurea e al dottorato … non hai mai scelto la
via più sporca perché hai paura che il sapone ti scortichi la pelle” e giù un
altro sorso di succo di euforia.
“E’ bello ricevere lezioni di vita da te Silvio … edificante”
disse Sandro sempre più ironico e ovviamente innervosito.
“Non ti incazzare Sà … non ti incazzare … l’importante è
pubblicare la tua scienza … la vita non fa curriculum giusto?” e Silvio nei
suoi occhi fastidiosamente azzurri era sincero mentre lo diceva.
“Si è vero … “ e voltandosi verso Nicola “dai Nicola
raccontaci una storia” disse Sandro intristito.
“Va bene … “ disse Nicola alzandosi di scatto e dirigendosi
verso il barbecue silente “vi racconterò di una cosa a cui ho assistito qualche
mese fa a Milano … la mia non è una storia eccezionale … ma credo che ne valga
la pena di raccontarla … è una storiella … un frammento di una giornata fino a
quel momento inutile … ma sapete che non son bravo a parlare di cose profonde …”
aggiungendo in coro insieme agli altri due
“a parte il mio(tuo) cazzo”
così dicendo si disegnò con la fuliggine un membro art noveau
al centro della fronte segno di estrema PENItenza nei confronti di quella
giuria in pieno scandalo di abusi di ufficio e conflitti di interesse. Dando le
spalle alla finestra dove Lucia continuava a amare <<moltissimo>> e
localmente quello sconosciuto mentre il bimbo dentro se la rideva, Nicola
continuò il suo sermone con un tono molto più dimesso e un fondo di tremore
alla voce, di timidezza, cosa che gli altri due trovarono particolarmente
sorprendente considerato che il soggetto era Nicola.
“insomma …” schiarendosi la voce “qualche tempo fa tornavo
da una festa … dove avevo conosciuto una tipa che poi non c’era stata e quindi
non avendo più un senso la serata me ne stavo tornando a casa … faceva un cazzo
di freddo di quel freddo che se pisci per strada fai tipo la scia di silver
surfer ma di pipì … che poi non ho mai capito che fine facesse sta scia
argentata di quel coglione argentato … secondo me si trovavano detriti d’argento
dappertutto ... magari in polveri sottili … incrementi dei casi di tumore ai
polmoni … boh che supereroe del cazzo … comunque faceva sto freddo bestiale che
tipo mi si appannavano gli occhiali ad ogni respiro … e vedevo sta città
incasinata ma ad intermittenza … e un po’ prima di casa mia … la strada sale
leggermente … di quelle pendenze che manco le senti all’inizio … quasi ci ridi
su e la sottovaluti … ma siccome sta salita dura un po’ alla fine ti sfianca
ugualmente … una pendenza leggera ma infida … e al centro di questa salita
trovo un ragazzo e una ragazza … potevano esser della mia età … e insomma tutti
e due stanno su una sedia a rotelle … cioè ognuno sulla sua di sedia intendo …
lui un bel ragazzo un po’ punkabestia … con i rasta … lei una ragazza magra
magra … beh soprattutto nelle gambe manco a dirlo … e di lei non ricordo altro …
ed è strano perché di solito guardo solo le donne … ma sta volta no … insomma
ci stanno sti due alla luce del classico lampione al sodio giallo malaria … e
lui sorregge lei col braccio destro … cioè ne sorregge la sedia a rotelle … entrambi
stremati e ansimanti … io li avevo scorti già da lontano per quanto vapore buttavano
fuori … insomma stanno praticamente la sfiniti col freno a mano tirato … ma non
filosoficamente ma letteralmente … non lo sapevo mica che le sedie a rotelle
avessero il freno a mano … però poi riflettendoci dai cazzo è logico … e mentre
lui gli dice tipo <<dai riposati un po’ non ti preoccupare non ce n’è
fretta>> … però nella voce già lo sentivi che era triste … quindi sti due
poveri ragazzi erano bloccati la perché la salita leggera ma infida l’aveva
sfiancati in sedia a rotelle … in particolare alla tipa che non riusciva più ad
andare avanti … con le braccia indolenzite per lo sforzo … e il tipo ci stava
di merda perché non poteva spingerla o aiutarla praticamente … cioè tipo
impotente cazzo … allora che fai? Cioè cazzo stai li e vedi sta scena che tipo
mi sfonda la retina di questi due che si amano e son disabili e ci sta la cazzo
di salita leggera ma infida metafora delle fottute difficoltà della vita … e la
tua compagna è sfinita e tu cazzo porca madonna vorresti aiutarla ma non puoi
perché non ne hai la forza e tipo sta scena … sta visione mi irrompe nella vita
di studente arrapato e menefreghista … e tipo una volta che silver surfer
serviva per dare una mano manco si palesa quello stronzo argentato che spero
gli venga un melanoma alla pelle … e tu stai la e vedi questa scena
fastidiosamente significativa e che fai? No dico raga … che fai? Tiri dritto? …
E per quanto possiamo esser qui nel circolo internazionale degli uomini di
merda falliti … relitti di una società che deride le nostre plateali mancanze
non puoi tirar dritto … cioè dai … non puoi … puoi?” facendo una pausa per
rifiatare, mentre adesso la sua voce non tremava più.
“no non puoi” disse Silvio ammutolito mentre Sandro era
rimasto senza parole.
“no infatti … allora mi avvicino piano piano perché comunque
io le gambe ce le ho e son più duttili i movimenti rispetto ad una sedia a
rotelle cigolante che o cammina o non cammina … e voglio credere che mi
facevano male le gambe esattamente come a loro facevano male le braccia solo
che io la forza ce l’avevo di arrivare in cima alla salita … e la tipa no … e
mi avvicino in maniera che comunque i due mi notano e non si spaventino … cioè
con un fare assolutamente non ostile … mi avvicino alle loro vite e la mia
salita diventa parallela alla loro per una volta … e che faccio … gli dico se
hanno bisogno di una mano … e il tipo mi dice con il cazzo di groppo in gola …
e la vergogna degli occhi … che di solito ce la fanno a fare sta salita … ma
sarà il freddo e stasera la sua ragazza proprio non ce la fa … e io gli dico
che sta salita sembra leggera ma è infida alla lunga che mi sfianca anche a me …
e lo dico un po’ perché ti viene naturale avvicinarti alla loro disabilità
dicendo ste cose … gli dico che mi fan male le gambe e non vedo l’ora di stare
a casa al caldo e sul letto … allora la tipa mi sorride e mi ringrazia e
incomincio a spingere la sua carrozzella e cazzo pesa un botto … ma vabbé raga …
ce la faccio a spingerla su mentre il tipo mi sta leggermente dietro e
ansimando ci mette tutto quello che ha per non esser aiutato a sua volta … e io
mica glielo chiedo se ha bisogno di una mano perché siamo uomini e cristo …
insomma lo vedo con la coda nell’occhio che sbuffa vapore e quasi ansimando
sputa fuori l’anima e se pure silver surfer si presentasse riceverebbe un
vaffanculo dal tipo rasta in sedia a rotelle che non ha bisogno di niente e
nessuno che lo aiuti a finire la salita leggera ma infida … e la tipa mi
racconta che sono andati a sta festa e lei e il suo ragazzo si erano divertiti
un sacco … che non era tanto che stavano a Milano e studiavano legge entrambi e
stavano insieme da tempo … dal loro paesino … e io gli dico che son nuovo di
Milano anche … e che mi piace ma a volte non mi piace … insomma scambiamo due chiacchiere
e la tipa è simpatica ma non mi ricordo che volto avesse … se avesse le tette
grosse o piccole e questo raga mi conoscete è strano … ma mi ricordo che il
tipo mi raggiunge e si mette al mio fianco e non si schioda da li neanche piovessero
meteore mentre lo vedo che più che incazzato è triste … perché dai … è chiaro
oramai che l’amore della sua vita potrà aver bisogno di aiuto in mille
situazioni diverse … ma ce n’è saranno alcune che per la gente normale son
pinzillacchere mentre per lui sono abissi … e questo ti spacca in due come
quando mio padre taglia le costolette in negozio … colpo netto e irreversibile …
che se la tipa cade lui la può fissare a terra impotente … provare ad aiutarla
goffamente … ma niente di più … che vorrebbe essere il cazzo di professor Xavier
che con i poteri telecinetici chessò muove le cose!? Cioè non mi ricordo se lo fa Xavier … ma lui
vorrebbe essere Xavier e per la tipa si raderebbe anche a zero tagliandosi i
rasta per avere i poteri telecinetici per aiutarla … ma non si può … insomma
arriviamo in un tempo che sembra lungo ma saranno stati un paio di minuti in
fondo alla salita e la strada poi diventa noiosamente piana in un istante che
ti fa sentire ancora più il dolore alle gamb … agli arti … e adesso i due ragazzi
ridiventano indipendenti … oddio lui lo è sempre stato … e mi ringraziano tanto
… e lui mi ringrazia ma si sente dalla voce che ci sta una merda … e io lo
capisco perché mi ci sento una merda di continuo anche se non lo dico o non lo
do a vedere … perché l’impotenza che sente è quella che sento anche io tutti i
giorni di fronte a tutti questi esperti di vita morte amore e miracoli che mi …
che ci circondano e lo capisco … anche se comunque non lo posso capire fino in
fondo … ne son sicuro che non posso … e loro vanno via … chessò si può dire
camminando? No cioè rotellando che ne so come si dice?! Vabbè si rotellando
mano nella mano e lei mi immagino gli abbia detto di non preoccuparsi e lui
abbia finto di non preoccuparsene di quella scena della salita … e poi io spero
abbiano fatto l’amore e lui cazzo … lui l’abbia fatta gridare di gioia e
godimento … che lui il tipo coi rasta sulla sedia a rotelle che sputava il
vapore abbia ansimato per altri motivi … per scacciare via i pensieri … e io me
ne sono andato a casa e non ho dormito un cazzo … e non ho trombato quella sera
perché la tipa non ci era stata … che si era appena lasciata col ragazzo dopo
una storia lunga e adesso voleva solo divertirsi senza uomini nella sua vita ma
la mano in mezzo alle cosce se l’era fatta mettere ma solo così in maniera
amichevole insomma … anche io vado al bar a farmi toccare il cazzo in maniera
amichevole la mattina … mah … comunque non ho dormito un cazzo perché pensavo …
che quella scena a cui avevo assistito anche se ne ero stato anche protagonista
… altro non era che l’esempio più semplice di cosa credo IO … raga credo io …
umilmente … cosa sia l’amore … tu stai con una tipa che ti ama … e insomma
questa si appoggia a te e tu devi essere un sostegno … e tu diventi parte
integrante anche del suo metabolismo cellulare … tanto a volte è la simbiosi in
una coppia … e niente tu sei la sua cazzo di architrave nelle difficoltà … e io
cazzo no cioè no non voglio essere la colonna di nessuno … non voglio che da me
dipenda nessuno o nessuna … cioè guardatemi … NO! Non voglio crepare in un
letto di ospedale tra gli atroci dolori perché l’amore della tua vita non ha le
palle di lasciarti andare e ti fa fare le peggio chemioradiofottuteterapie del
cazzo per tenerti in vita … cazzo no … vaffanculo all’amore … vaffanculo …”
dando un calcio ad un barattolo in terra di fagioli borlotti.
“Nicola ma cristo ma tralasci tutto quello che c’è di unico
e importante in un rapporto di coppia” disse Sandro interrompendolo “tipo che entri
in una stanza affollata ad una festa e la vedi li bellissima e unica mentre gli
altri sono in bianco e nero … è una cosa incredibile per me … gli amori che
durano per sempre” disse tutto d’un fiato.
“Sandro ma cosa cazzo stai dicendo? Ma quante volte sono
entrato io in una cazzo di stanza e ho visto tutto in bianco e nero e solo lei
a colori bellissima e unica … e la sera dopo lei è diventata in bianco e nero e
un’altra era a colori …. E la sera dopo ancora e ancora … e poi tu ti lasci con
una tipa che l’amore doveva durare per sempre e troverai così come lei troverà
quella stanza dove tutti sono in bianco e nero e ci sta solo un tipo a colori e
in alta definizione … è questo l’amore … una cosa che dura localmente per
sempre Sandro … io l’unica forma di affetto in cui credo … in cui credo di
credere … è il sostegno di un vero amico … che ti sorregge con una sola mano
lungo quella cazzo di salita leggera ma infida che è la vita con l’altra in
tasca per fare il disinvolto e non farsi notare dagli altri che ti sta aiutando
perché non ne vuole di grazie o di premi da miglior amico del mese … perché io
penso che la cosa più difficile al mondo sia fare del bene … perché le buone
azioni ti danno alla testa subito … tipo una droga … e ti ritrovi frate con le
stimmate false e a ravvivare le ferite la sera … o a curare i bisognosi a
Calcutta anche se non vogliono esser curati … il bene fatto veramente bene … di
un amico … voglio credere sia l’unica cosa … buona … e non ho altro da dire …
questa era la mia storia ragazzi” e così dicendo si passava il palmo della mano
sul cazzo di fuliggine disegnato sulla fronte che diveniva ora un disegno
deforme post moderno.
“Adesso ne abbiamo due
di froci nel gruppo … oh andiamo bene” disse Silvio e su la bottiglia verso il
cielo nero e invisibilmente stellato.
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